Prendi un Toni Servillo, miscelalo con una Valeria Golino sempre in auge, aggiungi una spruzzata di Buccirosso e un velo di Iaia Forte, un buon casting generale e ottieni un cast italiano di buon livello. Spolvera con una miscela di graphic novel (Igor Tuveri alias “Igort”, maestro internazionale, non avrebbe nemmeno bisogno di presentazioni) e novità quasi assoluta per il cinema italiano e ricavi, probabilmente, un prodotto forse inedito da fornire agli occhi del cinefilo dell’italico stivale.
Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un sicario di second’ordine della camorra ormai a riposo, occupandosi di pesca e prendendosi cura del figlio Nino, professione “guappetto”.
Peppino è costretto a ritornare in auge dopo che suo figlio è stato freddato. Non l’avessero mai fatto.
Ciò risveglierà la sua furia omicida e, strano a dirsi, ciò risulterà al contempo la motivazione per iniziare una fase del tutto nuova della sua esistenza.
I non avvezzi alla graphic novel potranno rinvenire in “5 è il numero perfetto” una opportunità. Potranno apprezzare questa forma d’arte e ammirare le qualità di regista, analizzando il perfetto parallelismo che c’è fra la forma fumettistica e la trasposizione cinematografica, tenuto conto che questo film nasce dal volume omonimo pubblicato nel 2002. E colui che lo ha concepito sulla carta ora lo ha anche diretto per il grande schermo.
I personaggi hanno già ricevuto una caratterizzazione sulla pagina che ha lasciato un’impronta ben precisa nell’immaginario di chi ha letto e apprezzato. Sia per loro che per chi giunge iconicamente vergine dinanzi a questa storia va detto che tutti i personaggi hanno trovato l’attore giusto che ha offerto loro carne, sangue e voce.
Ciò vale pure a partire dallo stesso Toni Servillo – più volte dichiaratosi nelle varie interviste del tutto ignaro del genere della graphic novel prima di interpretare questo ruolo – che partecipa con sincero fervore alle azioni al ventaglio emozionale di un uomo che inquadra il suo ruolo di sicario come un lavoro probante e, paradossalmente, anche connotato da una morale, per quanto assai opinabile.
A volte strizzando l’occhio addirittura al “Sin City” della triade Tarantino-Miller-Rodriguez, il Servillo nazionale, Carlo “Nun tant!” Buccirosso, la Golino International in uno a tutti coloro che hanno interpretato ruoli di secondo piano, hanno saputo esternare la capacità di caratterizzazioni un action da cinema anni ’70; il tutto, valorizzato da una cinepresa, quella dell’eclettico artista Igort, che sa valorizzare la storia anche con altri elementi di presunto ed esclusivo contorno, focalizzando ad arte spazi, territori e palazzi, rendendoli parte protagonistica integrante di ciascuna sequenza; evidentemente mutuandone il fattore “importanza primaria” da quelle stesse vignette che, tavola dopo tavola, ha saputo ‘ambientare’, fornendo alle proprie storie tutta la libertà che sa offrire il disegno.
Ciò ha, inevitabilmente, inciso positivamente sulla location-searching (e fatemela dire pure a me qualche parolina di inglese, “ce lo chiede l’Europa”!), quale provvido stimolo all’individuazione delle vie, delle scale e degli edifici in cui collocare le vicende; e ottenendo come risultato un piccolo e dignitoso affresco napoletano nell’Italia anni Settanta.
La relazione tra cinema e architettura è un tema pregnante, che andrebbe analizzato con un corso universitario, che forse pure esiste ma pare riservato solo a pochi eletti; e, con questo film, in cui le sorprese non mancano, in primis sul piano della sceneggiatura ci sarebbe tanto da poter disquisire.
La vera sorpresa in questo film? La circostanza che, poste l’una a seguire a quella successiva, in ogni scena viene valorizzato il “dettaglio”, quale aliquota rilevante per dare senso all’intero narrato.
E ciò non è cosa di tutti i giorni, specie nella cinematografia italiana, che talvolta ripone nel reiterato vituperio un’arma di “distrazione di massa” rispetto alla doverosa vigenza di tal meritoria contenutistica.
Qui, invece, anche il più piccolo dettaglio assume una fondante ragion d’essere per l’intera pellicola. E siccome, in tal caso, ciò capita piuttosto spesso nei 100 minuti di proiezione, i complimenti risultano doverosi.
Se avete difficoltà a scegliere qualcosa da vedere nel weekend, a meno che non usciate pazzi per i clown dotati di forniture infinite di palloncini, indipendentemente da quale sia il vostro genere cinematografico prevalente, dategli quindi una chance.