Settecento anni sono trascorsi dalla notte settembrina del 1321 in cui la malaria portava via Dante Alighieri. Eppure “questo nostro poeta di mediocre statura, dal volto lungo, il naso aquilino […] e sempre nella faccia malinconico e pensoso” – come ricorda Boccaccio – anima ancora la memoria del Bel Paese.
Il Palazzo Reale di Napoli celebra il Sommo Poeta dedicandogli, dal 3 dicembre 2021 al 1° marzo 2022, una mostra curata da Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale, e Andrea Mazzucchi, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. L’esposizione, allestita dall’architetta Lucianna Iovieno, si svolge nell’antico passaggio tra il Palazzo Reale e il Teatro San Carlo costruito dall’architetto Genovese dopo l’incendio del 1837. La “Galleria del Genovese” collega i due edifici monumentali e sembra evocare il transito di Dante nell’aldilà per “seguir virtute e canoscenza”. Le opere principali sono realizzate da Tommaso De Vivo tra 1863 e il 1865 per il re Vittorio Emanuele II. Ciascuna delle tre tele, recentemente restaurate nel laboratorio di Palazzo da Ugo Varriale e Miranda Giovarelli in collaborazione con Francesca Di Martino, evoca una cantica della Divina Commedia.
La prima rappresenta l’Incontro di Dante e Virgilio con i grandi poeti antichi nel Limbo nel quarto canto. Nell’orlo dell’inferno, le anime sono sospese e non subiscono alcuna pena. Non sono macchiate di alcun peccato, se non quello originale. A loro, non è concessa la gioia della contemplazione di Dio ma neanche è inflitto neanche il dolore dei dannati. Qui dimorano neonati, pagani e “spiriti magni” che, nati prima della venuta di Cristo, non hanno ricevuto il battesimo. Tra loro, vi sono i filosofi come Aristotele, “il maestro di color che sanno”, e i grandi poeti. De Vivo rappresenta l’incontro di Omero, che stringe una spada in memoria dei suoi poemi, Orazio, Ovidio e Lucano con Dante, che si riconosce come il “sesto tra cotanto senno”.
La seconda tela di De Vivo, in deposito alla Biblioteca Nazionale, rappresenta la processione mistica e simbolica che prepara la chiusura del Purgatorio e l’incipit del Paradiso. Nel XXIX Canto, Dante ricorre a un registro aulico per descrivere Beatrice in piedi su un carro trionfale, giunto di fronte al protagonista. Il grifone che lo traina evoca la natura ambigua di Cristo: terrestre, come il corpo di leone, e divina, come le ali d’aquila. Alla destra, quattro donne rappresentano le virtù teologali, a sinistra, altre quattro, quelle cardinali. ll carro, posto al centro della processione, rappresenta la Chiesa che agisce come uno dardo nella storia umana.
Conservata presso la Reggia di Caserta, l’ultima tela è inondata di luce. S’intitola Gioia e gaudio dei beati e ritrae Dante al cospetto di San Pietro, “che tiene le chiavi della Gloria del Paradiso”. L’apostolo lo esamina per valutare la sua adesione al credo cristiano. Gli chiede cosa sia la fede. Dante risponde: “è la realtà sostanziale delle nostre speranze di vita eterna e la prova razionale delle cose che non vediamo”. Così, Pietro lo benedice cantando e compiendo tre giri intorno a lui.
Insieme alle tele di De Vivo, questo viaggio nella memoria dantesca è impreziosito dal dipinto di Domenico Morelli del 1844 raffigurante Dante e Virgilio nel Purgatorio; da un album di litografie di Antonio Manganaro del 1871, che illustra in tono satirico L’Esposizione marittima visitata da Dante e Virgilio; dal dipinto di Luigi Stanziano Dante nello studio di Giotto e da quattro vasi dell’800 che ritraggono Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso. Il percorso di visita è reso ancora più suggestivo dalle proiezioni multimediali di Stefano Gargiulo, direttore artistico di Kaos Produzioni.