Привет всем! Se sentite il suono della balalaika, il sapore del caviale e della vodka avete indovinato: siamo giunti in Russia.
La letteratura russa antica proviene principalmente dalla Rus’ di Kiev ed è prevalentemente rappresentata dalla traduzione in paleoslavo di letteratura bizantina, soprattutto religiosa e generalmente anonima.
La scrittura in russo moderno si afferma solo nel XVII secolo. L’uso del russo è facilitato dalla riforma dell’alfabeto cirillico e questo consente l’accesso alla cultura ad un maggior numero di persone, che trova assai apprezzabile l’idea di utilizzare una lingua profana popolare per la letteratura.
All’inizio del XIX secolo, il Romanticismo vede sbocciare una generazione di grandi talenti, questo sarà il secolo d’oro della letteratura russa, e in particolare del romanzo.
La creazione dell’URSS e del regime socialista crea nella letteratura nazionale la corrente del realismo socialista. La teoria era semplice: si trattava di utilizzare il talento degli scrittori per magnificare i meriti e i successi del regime e supportare la propaganda ufficiale.
Sarà complicatissimo ridurre a pochi consigli un così vasto mondo letterario, sicchè sarà meglio dedicarsi ai contemporanei, i “mostri sacri” non credo la prenderanno male.
Il mignolo di Buddha di Viktor Olegovič Pelevin
Petr Pustotà, un importante poeta di Pietroburgo, si trova inaspettatamente a dover vestire gli scomodi panni di aiutante per il leggendario comandante Capaev e per la sua formidabile amica, addetta alla mitragliatrice, Anna, nel corso della Guerra Civile del 1919 tra bianchi e rossi. Ma qual’è il segreto della mitragliatrice? Perché Petr continua a svegliarsi in un ospedale psichiatrico di Mosca negli anni ’90 dove viene sottoposto a sedute di terapia “turbojunghiana”? E cosa c’entra Arnold Schwarzenegger in tutto questo?
Le donne di Lazar’ di Marina Stepnova
Lazar’ Iosifovič Lindt, nato nell’anno che apre il ’900 in un oscuro villaggio ebreo, compare a Mosca nel ’18 con nient’altro che un quaderno logoro e la testa infestata dai pidocchi. Mente straordinaria, destinato a un brillante futuro da luminare della scienza, figura contraddittoria divisa fra la razionalità, l’impossibilità di vivere i sentimenti più profondi e il potere derivante dai privilegi che gli verranno concessi in virtù del suo genio, nella sua vita eccezionale incrocerà il destino di tre donne – la moglie del suo mentore universitario, da lui amata senza speranza, la giovane sposa strappata alla propria esistenza dal matrimonio forzato e la nipotina orfana e grande promessa della danza – in una saga di amore, perdita e talento che abbraccia la storia russa del XX secolo, dagli ultimi anni dell’Impero zarista al decennio successivo al crollo dell’URSS passando per la rivoluzione bolscevica e l’epoca del potere sovietico.
Zuleika apre gli occhi di Guzel’ Jachina
Questo romanzo non è solo uno squarcio su un periodo della storia russa, né è soltanto la storia straordinaria di un amore filiale forte come pochi nel panorama letterario contemporaneo. Zuleika apre gli occhi è la Storia nella storia, in una miscela talmente rarefatta e intensa da catapultarci fuori dal tempo, fra antichi usi, sopraffazioni radicate, una suocera-arpia, un marito-despota e Zuleika-Cenerentola. Al suo debutto letterario, Guzel’ Jachina riesce nell’intento di innestare nelle spire sovietiche di una Storia devastante come fu la dekulakizzazione degli anni Trenta del Novecento (con le sue centinaia di migliaia di deportati) la piccola – banale, ma esemplare – vicenda di una donna come tante. Altrettanto difficile è credere che possa averlo fatto con una scrittura che il romanzo storico, pur se sui generis, mai aveva conosciuto. Intima e distesa, la narrazione ricorda la voce calda e profonda dei ‘fuori campo’ dei vecchi film epici; sapide e affilate, le descrizioni introducono in una realtà altra nel tempo e nello spazio senza nulla concedere all’esotismo da cartolina; fresca nonostante l’argomento rovente, agile nonostante il piombo degli eventi narrati, visiva, cinematografica quasi (e dalla cinematografia viene infatti l’autrice), la scrittura offre con una leggerezza quasi straniante l’orrore di ciò che accade. In mezzo all’orrore, tuttavia, si accende una luce:quella ‘bontà illogica’, quell’‘umano nell’uomo’ che si ostina a sopravvivere anche là dove dell’umanità sembra non restare più traccia. Fra la neve delle lande russe più desolate si fa dunque strada un’eroina indimenticabile, degna erede delle grandi donne della letteratura russa. Pluripremiato romanzo, pubblicato in trentanove Paesi, questo libro è considerato da un’indagine recente il più famoso degli ultimi dieci anni in Russia.
Metro 2033 di Dmitrij Gluchovskij
L’anno è il 2033. Il mondo è ridotto ad un cumulo di macerie. L’umanità è vicina all’estinzione. Le città mezze distrutte sono diventate inagibili a causa delle radiazioni. Al di fuori dei loro confini, si dice, solo deserti e foreste bruciate. I sopravvissuti ancora narrano la passata grandezza dell’umanità. Ma gli ultimi barlumi della civiltà fanno già parte di una memoria lontana, a cavallo tra realtà e mito. L’uomo è stato sostituito da altre forme di vita, mutate dalle radiazioni e più idonee a vivere nella nuova arida terra. Il tempo dell’uomo è finito. Poche migliaia di esseri umani sopravvivono ignorando il destino degli altri. Vivono nella metropolitana di Mosca, la più grande del mondo. È l’ultimo rifugio dell’umanità. Le stazioni sono diventate dei piccoli stati, la gente riunita sotto idee, religioni, filtri dell’acqua o semplicemente per difendersi. È un mondo senza domani, senza spazio per sogni, piani e speranze. I sentimenti hanno lasciato spazio all’istinto di sopravvivenza, ad ogni costo. VDNKh è la stazione più a nord, una volta la più bella e più grande. Oggi la più sicura. Ma oggi una nuova minaccia si affaccia all’orizzonte. Artyom, un giovane abitante di VDNKh, è il prescelto per addentrarsi nel cuore della metro, fino alla leggendaria Polis, per avvisare tutti dell’imminente pericolo e ottenere aiuto. È lui ad avere le chiavi del futuro nelle sue mani, dell’intera metro e probabilmente dell’intera umanità.
La febbre dei Petrov e altri accidenti di Aleksej Salnikov
I Petrov sono un’ordinaria famiglia russa immersa in un’ordinaria routine in un’ordinaria città industriale degli Urali. O almeno così sembra all’apparenza. In realtà le loro esistenze si rivelano tutto fuorché ordinarie. Il signor Petrov, meccanico di professione e fumettista nel tempo libero, è una calamita per le esperienze più bizzarre e impreviste. Soprattutto quando è in compagnia del suo amico Igor’, che pare incrociare casualmente il suo cammino più spesso del normale. La signora Petrov, bibliotecaria con una leggerissima tendenza all’asocialità, è in perenne conflitto con il suo lato oscuro, che talvolta le risveglia un inquietante istinto… omicida. E come se non bastasse, qualche giorno prima di Capodanno, un’implacabile febbre si abbatte su tutta la famiglia, e sull’intera cittadina, generando una serie di comportamenti se possibile ancora più inspiegabili. Il figlio, per esempio, che solitamente passa le giornate davanti alla televisione e ai videogame, comincia a sentire l’irrefrenabile voglia di uscire di casa e partecipare, febbricitante, alla festa dell’abete. Ma in questa dimensione di ordinaria follia fin dove è possibile distinguere la febbre dal sogno e, soprattutto, la realtà dall’incubo?
Il biglietto stellato di Vasilij Pavlovič Aksënov
Nel clima euforico della società russa da poco uscita dal terrore staliniano, un giovane scrittore pubblicava a puntate, sul mensile “Junost'” (Giovinezza), un romanzo destinato a diventare il primo bestseller della storia editoriale sovietica, vero caso internazionale tradotto subito in decine di paesi. Era il 1961, il nome dello scrittore Vasilij Aksënov, il titolo del libro “Il biglietto stellato”, romanzo di formazione sulle vicende del diciassettenne Dimka, inquieto e sognatore, che lascia la soffocante stabilità familiare per andare verso l'”Occidente” dell’URSS, l’Estonia, insieme a un gruppo di amici.