Matilde Serao, non tenendo presente alcuni aspetti storici, fece risalire la leggenda del ragù a Chico, un mago napoletano del Duecento, ma il pomodoro arriverà nel vecchio continente solo con la scoperta dell’America nel 1492. A Napoli il ragù è una tradizione antichissima. Come si evince dal titolo di una commedia di Eduardo De Filippo, il ragù bolle in pentola per tre giorni, Sabato domenica e lunedì. Lo si lascia cuocere per ore a fuoco lentissimo, con pomodori pazientemente scelti e tagli di carne gustosissimi. Ma nessuna famiglia napoletana ha la stessa ricetta del ragù. E’ un’alchimia gastronomica che invade il piacere dell’anima. Come gli antichi Indios della Guyana andavano molto fieri della loro leggendaria “pentola pepata”, nella quale versavano ogni giorno gli avanzi dell’ultimo pasto insieme a nuovi ingredienti, vantando la superiorità di certi stufati che le loro madri riuscivano a far sobbollire ininterrottamente per decenni, così si rappresenta il ragù per i napoletani. Un ragù napoletano per venir bene deve “peppiare”. In italiano significa “sobbollire”, ma non è proprio la stessa cosa. “Peppia” è una parola onomatopeica che suggerisce il rumore che fanno le bolle di sugo quando vengono a galla e “scoppiano”. Il segreto per far peppiare la salsa sta proprio nel tenere la fiamma molto bassa e nel non chiudere completamente la pentola con il coperchio, ma nel poggiarlo da un lato su un cucchiaio di legno poto di traverso, in modo che la salsa no bolla troppo forte. L’antenato del ragù napoletano è un piatto molto antico, probabilmente del XIII o XIV secolo, e di tradizione popolare, che deriva da un piatto della cucina popolare medievale provenzale, il cui nome era “Daube de boeuf”. Si trattava di uno stufato di carne di bue, parti molto coriacee, mescolate a verdure e cotto lungamente in un recipiente di creta. A partire dal XVIII secolo, comparve nella cucina napoletana il “ragout”, un piatto francese, trattasi sempre di uno stufato con verdure, ma, generalmente, di carne di montone. Il ragout, che deriva dall’aggettivo “ragoutant” che significa allettante, appetitoso o stuzzicante, si diffuse come piatto di mense realizzato con carni di manzo o di vitello senza pomodoro. Dello stufato parla già Vincenzo Corrado nel suo libro “Il cuoco galante”, che risale alla prima metà del settecento e successivamente Ippolito Cavalcanti nelle prime edizioni della sua “Cucina teorica pratica” che risalgono alla prima metà dell’ottocento, il quale cita per la prima volta i maccheroni conditi con sugo di stufato e formaggio grattuggiato. La parola ragù è una deformazione del termine francese “ragout”, che rispecchia la sua effettiva pronuncia, come avvenne per tantissimi altri termini. Ciò si verificò durante il XVIII e il XIX secolo sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, grazie al quale vi fu una grande influenza della cultura e delle mode francesi nella corte Borbonica.