Simonetta Cesaroni è una bella ragazza di vent’anni, viveva a Roma nel quartiere di Cinecittà, quando a Gennaio del 1990 aveva trovato lavoro presso la Reli Sas, uno studio commerciale dove svolgeva mansioni di segreteria. Fra i clienti dello studio c’è l’Associazione Italiana Albeghi della Gioventù (A.I.A.G) e la giovane ha il compito di passare alcuni giorni della settimana negli uffici dell’associazione, sita in via Poma 2. Le spettava fare da contabile in quegli uffici, di cui solo la madre era a conoscenza della giusta ubicazione, così come di alcune telefonate aninome che Simonetta riceveva in quel luogo.
Il 7 Agosto 1990 è un pomeriggio come tanti, è un matedì e la ragazza è nello stabile a via Poma a terminare di sbrigarealcune pratiche, aveva concordato con il suo titolare una telefonata intono alle 18.20, ma quella chiamatà non arrivò mai. L’ultimo contatto con la giovane è alle ore 17.15, quando la stessa fece una telefonata di lavoro a Luigia Berrettini. Quando l’orologio scoccava le 21.30, i familiari non vedendola rincasare iniziarono ad agitarsi e decisero di andarla a cercare. Insieme al datore di lavoro, la sorella e il fidanzato di quest’ultima arrivarono presso la sede dell’A.I.A.G intorno alle 23.30, dove la moglie del portiere dello stabile aprì loro la porta su una scena cruenta quanto incredibile. Simonetta giace a terra senza vita.
Subito emerge dalle prime indagini che la morte della giovane si poteva collocare fra le 18 e le 18.30. Il corpo fu trovato con vari segni di arma da taglio e il morso su un capezzolo, per la precisione la donna fu colpita 29 volte, in diverse parti del corpo, probabilmente con un tagliacarte. Una scena raccapricciante, i colpi sono stati inferti al viso, all’occhio destro e sinistro per poi infierire sul resto del corpo, quattordici sono i segni da taglio trovati dal basso ventre al pube.
Gli abiti di Simonetta, un fuseaux blu, la giacca e l’intimo vengono spostati dal luogo del delitto e non saranno mai più ritrovati insieme ad altri effetti personali, orecchini d’oro, un anello e un bracciale. Ma chi ha ucciso Simonetta e perchè? Cosa aveva visto o sentito da mettere la sua vita in pericolo? Siamo di fronte a un delitto passionale o una rapina finita male?
Il primo indiziato fu Pietro anacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, intercettato e poi fermato dalla polizia dopo tre giorni. Ventisei giorni dal suo arresto, l’avvocato difensore ne ottiene la scarcerazione, anche se i sospetti su di lui sono ancora forti. All’inizio sospettano che sia stato lui ad uccidere Simonetta, poi lo accusano di favoreggiamento e infine come testimone muto. Ma sul corpo della ragazza e nel sangue sulla maniglia, il dna di Pietro non verrà ritrovato, motivo che lo scagionò dalle accuse. Restarono comunque i dubbi sull’alibi di Pietro, il perchè della sua assenza nel cortile dello stabile, dove invece c’erano gli altri portieri del palazzo, proprio durante l’orario in cui Simonetta veniva uccisa. Ad Aprile del 1991 le accuse al portiere ed altre cinque indiziati furono archiviate e nel 1995 la Cassazione ne confermò la decisione. Nonostante ciò qualche anno dopo Pietro fu coinvolto in una seconda indagine, questa volta coinvolgendo anche il fidanzato della ragazza. Il corpo di Pietro Vanacore fu trovato il 9 Marzo 2010 senza vita, si era lasciato annegare. Accanto al corpo lasciò un messaggio “20 anni di sofferenze e sospetti ti portano al suicidio”. Pochi giorni dopo avrebbe dovuto deporre al processo a carico di Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni.
Attraverso un informatore, la polizia accusa Federico Valle come assassino del di Simonetta Cesaroni, in quanto quest’ultimo avrebbe scoperto la relazione fra suo padre e la ragazza. Pietro Vanacoe e sua moglie sarebbe stati, sempre secondo il sedicente informatore, a conoscenza dei fatti accaduti quel pomeriggio e avrebbero aiutato Valle a coprire l’omicidio. Ma anche questa pista porterà ad un vicolo cieco, in quanto sui reperti controllati dai periti e le tracce ematiche trovate sul corpo della ragazza e in casa, non coincide con quello di Federico Valle, che verrà prosciolto da ogni accusa il 1993
Nel 2004 si crede ad una svolta, sono passati quasi quindici anni quando sul banco degli imputati viene chiamato Raniero Busco, fidanzato di Simonetta all’epoca dei fatti. Sull’intimo della giovane venne ritrovato il DnA di Raniero, oltre ad un morso sul seno che poteva essere riconducibile sempre all’uomo. Inoltre l’alibi fornito da Raniero non sembra troppo convincente e le tensioni di coppia che i due avevano, poteva essere un ottimo movente. Dopo altri sette anni, Raniero Busco verrà prima condannato in primo grado a 24 anni di carcere, poi la cassazione scagionò definitvamente l’imputato. Nonostante che il Dna trovato fosse dell’uomo, non si poteva con esattezza determinare quando era finito sugli indumenti della giovane donna, in quanto la coppia aveva avuto un rapporto sessuale tre giorni prima e nessuno riusciva a ricordare se quel giorno di Agosto, Simonetta indossasse biancheria pulita. Il sangue trovato sulla maniglia, inoltre, era riconducibile a tre diversi individui di sesso maschile, ma nessuno di loro era compatibile con Raniero Busco.
Dopo precisamente trentadue anni, nuove piste da seguire, ipotesi di complotti e vicoli ciechi, il colpevole ancora non è stato trovato e la ragazza, che ha visto la sua giovane vita volare via un pomeriggio assolato di Agosto, aspetta e merita giustizia. E quello che da tutti è ricordato come il “Delitto di Via Poma” rimane ancora un mistero.