Giulia Cecchetin ha stravolto le vite di tutti noi con il suo sacrificio in nome di un amore che non si può accettare e che non si può chiamare amore.
Un funerale, il suo, vittima a soli 22 anni, in cui il padre Gino Cecchetin ha lasciato un segno, ha parlato nel dolce addio che ha dato a sua figlia e ha pronunciato parole che finora non erano mai state utilizzate, con la grazia di un padre che sa essere un bravissimo genitore anche quando la figlia non c’è più, che non si è mai abbandonato al dolore straziante e che ha mantenuto una lucidità nei suoi profondi occhi sofferenti per ribadire il pensiero più nobile possibile che Giulia sia l’ultima, anche se di fatto non lo è stata, l’ultima a subire quello che ha subito, a cadere nella trappola di un amore malato e malsano che inganna, soffoca, sopprime, opprime e poi uccide.
Un lungo applauso, una standing ovation e un emozionato pubblico accoglie l’ingresso insolito per il salotto di Fabio Fazio che da quando ha cominciato l’avventura di “Che Tempo che fa” più di venti anni fa non aveva mai avuto tra i suoi ospiti i protagonisti delle vicende di cronaca nera della nostra Italia che giravano per i vari talk show, se non i genitori di Giulio Regeni, condividendone la battaglia e i sentimenti.
Ma questa volta è diverso; Gino Cecchetin ha cambiato le regole del gioco e sparigliato le carte, perchè pur essendo il suo dolore, purtroppo drammaticamente uguale al dolore delle altre migliaia di famiglie che stanno conoscendo lo stesso strazio della perdita di una figlia per mano di un assassino, lui non lo è; lui e Elena hanno acceso una luce violenta, forte, che ha risvegliato tutti, ha ridestato anche i dormienti sull’attenzione che il femminicidio merita non quale fenomeno sociale, ma quale stallo culturale, sintomo di una malattia sempre più diffusa di volontà di possesso, dominio, onnipotenza su chi si dice di amare, buttando all’aria i valori, i principi, le libertà che si pensava fondanti nella nostra società.
Volgendo uno sguardo alla realtà che ci circonda, le loro parole hanno provocato un vero elettrochock con l’effetto dirompente che solo le parole possono avere, semplici frasi messe insieme hanno realizzato un profondo sentire comune, finalmente svolgendo il loro compito, il compito pedagogico delle parole, che è quello poetico di levare le coscienze, scuoterle e renderle consapevoli dell’importanza e impellenza di un cambiamento profondo culturale, ideologico, struttuale, sociale, civile, nelle egemonie dei pensieri e dei sentimenti, che a questo punto vanno rieducati necessariamente, a partire dalla culla senza fermarsi mai.
Insinuandosi piano piano questo “pensiero positivo” forse davvero può germogliare come Gino Cecchetin si augura nella sua speciale preghiera rivolta a Giulia nel suo addio, ma giunta al cuore di tutti noi che lo guardiamo colpiti, emozionati, commossi per la forza di un genitore che, nonostante tutto, vuole dare un senso alla vita e alla perdita di sua figlia che… non sia invano.
Il suo discorso, nonostante l’assenza della figlia e la tragedia che lo ha travolto, lascia attoniti perchè è rivolto al futuro, a trovare le strategie, i mezzi, gli strumenti, le idee per prevenire, evitare tragedie simili e salvare altre donne che hanno vissuto e che vivono, probabilmente inconsapevolmente, tali tipi di amore che non si può chiamare tale e così dichiara che le sue parole, i suoi pensieri e l’angoscia sono confluiti nel suo discorso “nato da un profondo dolore… cercando di capire quali siano le cause che mi hanno fatto vivere questa tremenda avventura; ho una mente razionale quindi mi sono astratto da quello che era il mio dolore per cercare di capire per prima cosa dove avessi sbagliato io e poi per cercare di dare un aiuto a chi ancora ha la possibilità di salvarsi“.
E così ha analizzato “con il cuore” le cause che hanno fatto in modo che Giulia non fosse più “qui”, trovare una possibile soluzione con la voglia di intraprendere un percorso in tale direzione.
“Se sono qui è perchè, mio malgrado, mi trovo a combattare una battaglia, una battaglia di cui non ero a conoscenza prima, io stesso quando leggevo di femminicidi, ero dispiaciuto per la vittima, i familiari ma poi giravo pagina come penso facciano la maggior parte delle persone“.
Dopo aver raccontato la perdita della moglie avvenuta meno di un anno fa a causa di un tumore, lui ha colpito ancora di più con la sua frase ricca di intenzioni e di obiettivi concreti “…ora mi ritrovo senza una moglie, senza una figlia, e con la possibilità di gridare all’Italia in questo caso, ma il messaggio sta arrivando anche Oltralpe, che dobbiamo fare tutti qualcosa, Elena ha dato un messaggio ben chiaro, ha centrato veramente il punto, quando l’ho sentita parlare di patriarcato, mi ha lasciato interdetto, perchè conoscevo la parola, ma non conoscevo il significato nella società moderna. Io supporterò Elena in tutte le sue battaglie, perchè è una battaglia che dobbiam fare tutti insieme”.
Gino Cecchetin ha un merito su tutti, di aver acceso una luce fortissima, potentissima sulle dinamiche di patriarcato a cui ci si è abituati, il senso del possesso della donna da parte di un uomo, la mancata cultura all’educazione al rispetto di ogni persona, eppure nell’anniversario della Convenzione per i diritti dell’uomo, inteso come elemento di una umanità fatta di maschi e femmine, di pari dignità e valore, tutto questo sembra essersi sgretolato sotto i riflettori di una ostentata modernità che è però più arcaica dell’antichità!
Un insieme di retaggi culturali che basandosi su preconcetti, pregiudizi e retropensieri, può esplodere nella violenza di chi non maneggia con cura l’essenza dell’altro, non comprende l’importanza del rispetto e del valore dell’identità di ciascuno, non solo a parole, nelle leggi, nei proclami, ma nella vita reale dove sono tante, tantissime le Giulie vittime della violenza assurda e incontrollata di un amore negato, considerando che dalla sua morte, altre cinque donne, di ogni età, di ogni fascia culturale, di ogni appartenenza geografica, sono state uccise brutalmente da chi giurava e spergiurava di amarle.
Fazio allora chiede a Gino Cecchetin quale possa essere la strada da percorrere per divenire “agenti di cambiamento”, in primis gli uomini a cui al funerale il papà di Giulia si è rivolto. “Dovremmo iniziare dal nostro credo più profondo, quelle che sono le nostre convinzioni, dalle espressioni che usiamo tutti i giorni“, riportando l’esempio di una sua conversazione con un amico, banalmente finita in un faccia a faccia “da uomo a uomo”, rinnegando subitaneamente quel modo di pensare e provando, in prima persona, a dare un altro tipo di messaggio, a cambiare pensieri, parole e azioni, anche le più banali.
Equilibrio e dolcezza sono queste le due sensazioni che si avvertono nel discorso e nel volto di Gino Cecchetin e Fazio, proprio a quelle si appella, quando, nel sottolineare, quanto devastante possa essere la più grande tragedia che possa capitare ad un essere umano come la perdita di un figlio anzichè far prevalere rabbia, odio e sentimenti affini, il padre di Giulia è rimasto sempre composto nel suo dolore e Fazio gli ha chiesto come abbia fatto a non farsi sopraffare dalla rabbia.
E la risposta di Cecchetin è ancora una volta la conferma – se ce ne fosse bisogno – che il suo è davvero un modo di essere, di fare e di parlare “esemplare”, come è stato definito da qualcuno “Ho avuto n processo di cambiamento, ad un certo punto quando ti ritrovi a piangere la perdita di una figlia, perchè io ho iniziato a piangere per Giulia già da domenica, perchè un padre certe cose le sente, e ti viene quasi normale provare rabbia e odio, però chi conosce Giulia, ho detto no, io voglio essere come Giulia, ho concentrato tutto il mio cuore, tutta la mia forza su di lei e sono riuscito ad azzerare l’odio e la rabbia e mi sono chiesto come? però ancora oggi vedo che questo ragionare che può magari sembrare troppo razionale, alla fine è molto umano, io voglio amare e non voglio odiare e comunque l’odio porta via l’energia, e quindi è tutta lì!” (…).
A questo punto Fazio non può non agganciarsi all’altra metà di questa rivoluzione, Elena che per la prima volta ha messo in luce che chi uccide le donne, chi commette un femminicidio non può essere definito banalmente “mostro” che è qualcosa di eccezionale, fuori dalla norma, quando invece, spesso chi uccide, gli uomini che uccidono per amore e in nome dell’amore sono persone normali, che si possono incontrare e conoscere nella vita in una normale quotidiana esistenza; corre, dunque, l’obbligo di controllare i modelli radicati diffusi, le fragilità di tutti ma soprattutto dei maschi, vedere quello che non funziona e cercare di capirlo e combatterlo.
“Il mostro è qualcosa di eccezionale, mentre il caso di Giulia come in quasi tutti i femminicidi, stiamo parlando di normalità, quindi dovremmo capire quelle che sono le cause che portano una persona normale a commettere tali gesta, e lì bisogna agire su tanti punti, inviterei ad utilizzare molto di più canali comunicativi tra genitori e figli, cercando di non essere amici, di essere comunque un educatore anche severo ma che cerca di capire quali sono le reali esigenze e magari anche invadendo un pò la privacy, non tantissimo, non nel mio caso in cui le ho dato troppo respiro, conoscendo Giulia molto giudiziosa, ho lasciato sempre fare e non volevo entrare nella sfera però un minimo di aumento della collettività con i figli, con gli amici, questo probabilmente permette di raccogliere di più le informazioni e avere il quadro generale, forse riuscendo a capire il quadro psicologico dei nostri figli, capire se hanno delle debolezze, capire se potrebbero diventare relazioni potenziamente pericolose“.
Il discorso di Gino Cecchetin sarà letto nelle scuole, suggerimento di Zaia, accolto anche dal Ministro dell’istruzione e del Merito, segno di un cambiamento, segno di un destino particolare in quelle parole messe insieme non per caso ma per una strada fatta di impegno per questa battaglia, magari fondando una associazione per diffondere un pensiero nuovo, cominciando nelle scuole a provare a coinvolgere tutti i bambini e i ragazzi.
Alla fine del suo discorso che ora arriverà in tutte le scuole, questo papà speciale dice:
“Io non so pregare, ma so sperare:
ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma,
voglio sperare insieme a Elena e Davide
e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti:
voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore
fecondi il terreno delle nostre vite
e voglio sperare che un giorno possa germogliare.
E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace“.
E così prima che un nuovo fortissimo abbraccio dello studio saluti Gino Cecchetin (anche Fazio che è sempre titubante nelle esternazioni fisiche per non cadere in un giudizio troppo semplicistico della tv del dolore è apparso fisicamente tentennante nel voler dare un abbraccio a questo papà che fa davvero venire la voglia di stringerlo, per stringersi alla sua battaglia, alla sua volontà di cambiamento e al suo dolore immenso), nel momento del suo congedo un pò a disagio per essere chiaramente in un mondo che non gli appartiene, il padre di Giulia ancora non ha parole di odio, di vendetta, di richiesta di giustizia per Giulia…ANZI regala ancora una volta uno spazio vitale a parole pregne di dolcezza e di amore…dedicate a tutti i maschi di non risparmiarsi nell’amore e di dire semplicemente “ti amo” a chi si ha accanto, dirlo sempre, ripeterlo perchè è importante e forse ai suoi occhi e nel suo cuore ormai solo e orfano di due amori importantissimi, è necessario per non essere una maledetta occasione persa!