“Con l’ introduzione del digitale non si può dare una definizione univoca del termine fotografia. Quando ho iniziato il mio lavoro, sentivo che sarei stato sempre dipendente dal mondo materiale. Sembrava più interessante essere un pittore nel proprio studio, libero di decidere cosa fare, come sviluppare la composizione. Non sono un pittore, ma ora ho la stessa libertà”.
Andreas Gursky
Otto opere di straordinaria bellezza di dimensioni gigantesche, fotografie ad altissima risoluzione tratte dalla serie Bangkok e la monumentale Ocean VI di Andreas Gursky esposte per la prima volta in Italia nella Galleria “Gagosian” di Roma in via F. Crispi 16 fino al 3 marzo 2018. L’ artista della “Scuola di Dussendorf” non è un semplice fotografo, uno che “scatta” immagini del mondo contemporaneo, è un creativo, è uno che costruisce con la stessa scala della pittura attingendo al vasto repertorio della sua esperienza visiva e dagli eventi che i mass media comunicano costantemente, il computer è un mezzo che consente all’ artista di sperimentare, di esplorarne le potenzialità, di effettuare delle contaminazioni oppure di ridurre al minimo eventuali ritocchi, consentendo un dialogo tra la fotografia e la pittura, tra la rappresentazione e l’ astrazione, restituendo all’ osservatore un’ opera dal notevole impatto emotivo e visivo, nel mondo di Gursky si nota una perfetta simbiosi dello scorrere dell’ esistenza e della riflessione metafisica. Seguendo il percorso espositivo la prima opera che attira l’ attenzione del visitatore è “Ocean VI”, stampa cromogenica, una immagine satellitare della Terra in cui il mare diventa un imperscrutabile vuoto, l’ osservatore è proiettato verso uno spazio indefinito in cui non è possibile percepirne la profondità, nella composizione gli elementi che danno una “solidità” alla fotografia sono le montagne e i margini che delineano i territori, questa immagine trae spunto dai viaggi dell’ artista in aereo di cui ne ricava una rappresentazione grafica, è una riflessione sulla vulnerabilità dei continenti della Terra, dell’ aumento del livello del mare che comporta rischi per l’ ambiente e per l’ uomo.
In un’ unica sala ovale sono concentrate le altre opere che sono l’ esito di un viaggio a Bangkok di Gursky, osservando il fiume Chao Phraya che attraversa la città ne resta affascinato e decide di farne il tema principale della sua produzione artistica, l’ artista immortala la superficie tremolante del fiume con le sue luminose increspature, ne emerge un effetto cromatico di derivazione impressionista, oppure potremmo pensare alle intense composizioni dei modernisti americani del dopoguerra, nell’ opera “Bangkok II”, stampa a getto d’ inchiostro, l’ osservatore si “immerge” nella foto, da un lato si resta affascinati dalla bellezza dello scatto, dall’ armonia e dall’ atmosfera metafisica, dall’ altro, osservando attentamente i dettagli dello schema compositivo scompare questa “estetica sublime” ed emergono nuovi elementi, bottiglie di plastica, copertoni di auto, pesci morti, tutti particolari inquietanti, Gursky riesce lentamente a trascinare l’ osservatore verso una interpretazione dell’ opera attraverso il senso critico dimostrando che un sottile fil rouge lega l’ apparire e l’ essere, la percezione intuitiva e quella oggettiva.
La fotografia “Bangkok IX”, stampa a getto d’ inchiostro, con i suoi pilastri ondeggianti di campi neri e quelle più grandi di colore grigio rievoca per lo stile le tele dell’ Espressionismo astratto di Clyfford Still, un’ acqua apparentemente calma grazie anche al riflesso della luce diventa inquietante e inquinata osservandola da vicino, infatti, detriti e rifiuti galleggiano in superficie, Gursky riesce a trasporre nella fotografia ciò che è difficile realizzare in pittura.
Osservando “Bangkok IV “si ha la sensazione di essere di fronte ad una tela di Claude Monet, alla sua interpretazione dell’ acqua, all’ indagine sull’ impossibile combinazione tra l’effetto della profondità e la superficie piatta del fiume, la sua identità di elemento costitutivo del cosmo è deturpata dall’ azione dell’ uomo, responsabile e primo attore dell’ inquinamento ambientale, sono gli elementi inquinanti a restituire una immagine cromatica forte ma non limpida dell’ intera rappresentazione.
“Bangkok V”, invece, rievoca le linee di Barnett Newman, le increspature sulla superficie del fiume creano delle figure che rievocano immagini surrealiste come quelle di Joan Mirò, sono forme che assumono una loro consistenza attraverso una osservazione minuziosa della composizione, è una foto dinamica in cui si percepisce un lento movimento della superficie dell’ acqua.