Quando si crea musica considerandola come “arte” il risultato può sempre variare; non è detto si ottenga sempre la stessa cosa. Unica vera variante è la dedizione e l’amore con cui ci si dedica a quest’arte. E’ bello quindi poter ritrovare questo amico che sa come “onorare” la musica.
Dopo la pubblicazione dell’album “Vorrei che morissi d’arte” e del videoclip “Il Polacco” (oltre 119mila visualizzazioni) torna sulla scena il cantautore Mico Argirò con il brano “Un altro Giugno73”.
«“Un altro Giugno73” racconta le varie fasi di una storia d’amore, strofe scritte a distanza di anni che si concludono nel modo peggiore possibile. Un’evoluzione negativa del rapporto che, inevitabilmente, porta ad un abbandono finale, attraverso città diverse, momenti di semplice bellezza e senso di assenza. È una canzone molto intima, parla di me e della mia vita… c’è la mia storia d’amore finita, c’è De André, c’è il Cilento e ci sono Milano e Roma, ci sono gli strumenti che ho sempre usato, WhatsApp, la stazione e i suoi suoni, le birre. Ho scelto di farla uscire come singolo senza un album intero a seguirla perché racconta di un evento specifico della mia vita: è una cosa a sé stante e personale. Anche come sound. “Un altro Giugno73” è nata in modo diverso dal mio solito: era uno dei tanti brani dei quali scrivi una strofa e lo lasci lì, incompleto, un foglio per tre quarti bianco. Ho scritto, poi, le altre strofe a distanza di vario tempo, anni, dalla prima. Nel frattempo, la storia d’amore era prima cambiata, poi naufragata. È un “in progress” reale, non costruito, e mi piace, soprattutto dato che in genere scrivo di getto, seguendo una emozione o una suggestione dell’attimo».
Il videoclip è girato nella stazione ferroviaria abbandonata di un piccolo paese del Cilento (Torchiara, in provincia di Salerno) e attori sono due bambini (Emilio e Cristina Marrocco): il bambino diventerà un adulto ma, all’incontro tanto atteso con la bambina, rimarrà soltanto il vuoto. La regia del videoclip è di Ciro Rusciano, già regista de “Il Polacco”. «Il videoclip nasce da una mia idea, sviluppata poi da Ciro Rusciano. Mi piaceva che la fase positiva della storia d’amore fosse rappresentata da bambini e quella finale da un istante di assenza, di sospensione. La stazione abbandonata ha un significato personale e si lega a un altro mio brano, “Saltare”, contenuta nel vecchio disco, “Vorrei che morissi d’arte”. Come luoghi dove girare il videoclip ho scelto il Cilento, la stazione è quella in disuso di Torchiara (SA); l’ho scelta perché il Cilento è casa mia e, per quanto mi trovi a viaggiare e vivere a Milano, rimane al centro del mio essere». Al brano (registrato, missato e masterizzato da Ivan Malzone) partecipano i musicisti Giampietro Marra (percussioni), Gaetano Pomposelli (chitarra classica), Raffaele Agostino (piano), Letizia Bavoso (flauto traverso) e Giuseppe Iaccarino (basso). «Devo dire che ho la fortuna di collaborare con grandi artisti, musicisti che sanno prestarsi a raccontare le storie della mia vita. Un grazie importante devo dirlo a Ivan Malzone, il fonico, con il quale sto facendo una crescita particolare e che sa stare dietro alle mie idee assurde (e ai miei orari/luoghi). Il sound del brano è acustico, un classico folk da musica d’autore, una sonorità che credo abbia ancora una validità oggi, che permette alle emozioni e al testo di passare in una certa maniera. Attualmente sto sperimentando generi diversi, come ho sempre fatto, ma questo brano doveva essere vestito così: chitarre, flauto, percussioni, piano. Unica peculiarità in “contrasto” con il genere sono i suoni ambientali della stazione ferroviaria, una cosa che già avevo usato in un altro mio brano, “Saltare”, e che hanno un significato personale (oltre a un concetto di suono che vada al di là dei semplici strumenti musicali o la voce)».