Trattasi del ReBoot di una versione interpretata da Ron Perlman, andata avanti per 2 film (la Saga si fermò a “Golden Army” del 2008), e che adoro. Nel giudizio di questa nuova versione, cercherò quindi di usare il criterio dell’obiettività.
Planato tra noi sulla Terra ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, laddove i nazisti, vicini alla capitolazione, ripongono nel mago Rasputin le loro ultime speranze, chiedendogli di evocare forze infernali che avrebbero invertito l’andazzo della contesa, Hellboy (qui interpretato da David Harbour) è un “predestinato”.
Il suo piccolo compito? Comportare, grazie anche alle sue retrattili corna infuocate, la fine del mondo. Una cosuccia così.
A questa possibile e beffarda piega del fato si oppone il suo padre adottivo, il Professor Broom (Ian McShane) che, proprio nell’ottica di portarlo lontano da possibili lusinghe in proposito, l’ha addestrato a puntino, fino a farlo diventare il principale agente del “BPRD”, una incredibile organizzazione fondata sulla ricerca e che attua piani di difesa, anche estemporanei – alla bisogna – contro le più bizzarre minacce soprannaturali.
Tuttavia, il presagio che ciò possa egualmente compiersi resta forte; e l’impetuosa strega Nimue (Milla Jovovich), delusa da Re Artù secoli fa e ora desiderosa di una ardente vendetta, ha tutta l’intenzione di tornare per trasformare Hellboy nel proprio Re e nella propria arma di distruzione di massa, al fine di regnare incontrastata su un mondo invaso dai demoni.
In questa versione di “Hellboy”, può denotarsi il forte tentativo di ricongiungersi alla propria tradizione fumettistica. Delle atmosfere ombrose del fumetto di Mike Mignola e Duncan Fegredo (colorati da Dave Stewart), in questo film rimane tuttavia molto poco.
Inoltre, la sceneggiatura si inceppa spesso e si arrota intorno a una moltitudine di eventi che lo spettatore non ha il tempo di digerire in soluzione unica. Il regista punta molto su effetti speciali di altissimo livello ma che, in tale circostanza, sembrano configurarsi come una sorta di “cerotto narrativo” fra i vari segmenti.
La trilogia mancata nella precedente versione, viene qui ricalibrata con un’ampia cesura sulle origini del personaggio, optando, per queste, su un downgrade in forma di flashback, altresì dando per scontata una giù lunga militanza di HellBoy in senso al BPRD.
Mossa coraggiosa, forse un pizzico avventata. Specie laddove poi, in talune circostanze, il regista è comunque costretto a prevedere della fasi che, nella necessità di dover proporre delle integrazioni narrative – altrimenti non si capisce di cosa si stia parlando -, portano a un rallentamento dovuto alle tempistiche delle correlate spiegazioni. In alcuni frangenti si scorge pure un tentativo di “captatio benevolentia” tutta prona a catturare l’attenzione dello spettatore, che però si imbatte in alcune battute poco sapide se non addirittura infelici.
Sul piano degli effetti speciali, per carità, nulla quaestio. Neil Marshall propone un combattimento di HellBoy contro tre giganti, con una nuova e innovativa tecnica di ripresa, quasi circense. Solo che i giganti sembrano avere la consistenza della cartapesta, mentre Hellboy ha una solidità che forse nemmeno il miglior Thanos riuscirebbe a sopraffare.
Il film si sviluppa molto rapido ma con le ovvie disarmonie. Il personaggio tetro di Daimio (Daniel Dae Kim) finisce per essere relegato alla nozione di militare oltranzista e tenace. Alice (Sasha Lane), passa da medium sbalordita da eventi incredibili a configurarsi come una ragazza coriacea e dal polso fermo.
A Ian McShane basta usare il volto, risultando sempre “magnetico”. Forse un filo sotto-utilizzato. Compare, ad esempio, in una bella e succosa sequenza, in cui Hellboy finisce magicamente nel capanno della strega Baba Yaga, di fronte a un tetro quanto opulento banchetto.
Ecco, questo è forse l’unico momento in cui si resta davvero sorpresi, peraltro senza eccessi di computer graphic; E gli articolatissimi movimenti dell’aberrante strega sono stati realizzati con la tecnica della “motion capture”, grazie all’impressionante flessuosità della contorsionista.
In sintesi: Per carità, due ore godibili e con il gusto dell’epico che potrete assaggiare sulle labbra. Eccessivo il ricorso al digitale, forse applicato a surroga e in maniera massiva in ragione di budget limitati.
Quindi, forse, ecco spiegata la scelta di Neil Marshall al timone. Ma qui non si parla de “Il Trono di Spade” e il film sconta la carenza della semplicità narrativa dei suoi precedenti ”Doomsday” e ”Centurion”; tant’è che alla fine il suo HellBoy si colloca assai più a ridosso della parimenti sua serie ”Constantine”, che non ha incantato.
Resta il fatto che, trattandosi di un film “di genere” – per chi ama il personaggio e le sue atmosfere, benché in questa pellicola le rinverrà più annacquate – pur con le sue carenze e discrasie rispetto allo spartito originario, è un prodotto da vedere.