Noi, nuove generazioni, quelle cresciute con il calcio trasmesso con la pay tv, non abbiamo avuto il privilegio di poter vedere in diretta, in collegamento nel piccolo schermo, una delle figure più amate in assoluto del giornalismo italiano. Noi, ai quali ci sembra assurdo che le partite per intero, fino a qualche anno fa, si potessero guardare solo dal vivo allo stadio, non abbiamo avuto la fortuna di godere dei racconti delle gare nella voce di Luigi Necco a 90esimo minuto; ovvero la trasmissione Rai che, all’epoca, era attesa da milioni di telespettatori per avere ragguagli sul campionato, e che proprio lui ha contribuito a rendere grande.
Eppure noi giovani, però, il giornalista e scrittore napoletano lo abbiamo conosciuto ugualmente, e lo abbiamo conosciuto molto bene, perché abbiamo sempre sentito i nostri familiari, i nostri genitori, o qualche nostro amico più grande, parlare di lui con sincera ammirazione ed affetto. Ci è stata tramandata una visione di quel signore dall’aspetto bonario, quale uno dei simboli principali e maggiormente caratterizzanti del mondo della comunicazione, dagli anni Settanta ai Novanta. In molti, poi, abbiamo potuto apprezzarlo, anche negli ultimi periodi, dal vivo in qualche suo intervento.
Del resto, per avere la portata di ciò che egli ha rappresentato per i napoletani, e non solo, ci basta notare la reazione avuta da parte di tutti, in questi giorni, alla notizia della sua dipartita – avvenuta, come ormai noto, la notte dello scorso 13 marzo, all’età di 83 anni -. È stata una reazione di grande dispiacere, come se a mancare sia stato, a tutti gli effetti, un caro, un componente di una famiglia molto allargata. Numerosi sono stati i post sui social a lui dedicati da parte dei suoi colleghi, così come da parte del sindaco de Magistris e della società calcio Napoli.
Professionista di elevato spessore intellettuale, Necco è entrato nelle case degli italiani con eleganza, garbo e sagace ironia e, inevitabilmente, con le sue qualità, non poteva non consegnarsi all’apprezzamento popolare e alla memoria futura. A lui sono legati i ricordi del grande Napoli di Maradona, con i campionati e la coppa UEFA vinti. A lui si devono espressioni entrate nel linguaggio collettivo, quali “Milano chiama, Napoli risponde”, riferendosi alla lotta per lo scudetto tra il Napoli e il Milan, oppure “La mano de de Dios o la cabeza de Maradona”, in riferimento al goal di mano, passato alla storia, del Pibe de oro durante i mondiali del 1986.
Tuttavia, egli non si è occupato solo di calcio, anzi la sua vastissima cultura, oltre a permettergli di prestarsi in maniera superba alla narrazione sportiva, gli ha sempre garantito di poter spaziare negli ambiti più disparati del sapere umano. Un’altra sua grandissima passione, ad esempio, è stata l’archeologia ed infatti, tra il 1993 al 1997, ha ideato e condotto una rubrica televisiva dal titolo L’occhio del faraone, realizzando numerosissimi documentari legati all’area mediterranea, alla Grecia, alla Giordania, all’Egitto, all’Iraq, fino a Pompei e alla Turchia. Molto importante, poi, è stata la sua scoperta del tesoro che, nel 1873, Heinrich Schliemann aveva trovato a Troia e che era stato dato per distrutto nei bombardamenti dello Zoo di Berlino del ‘45.
La sua poliedricità, in aggiunta, gli ha consentito di poter offrire ed avanzare analisi sempre molto lucide, scrutando con occhio saggio nelle pieghe del vivere sociale, oltre che di potersi dedicare al bene comune, con una parentesi di attività politica.
Nella sua corposa carriera giornalistica, poi, non sono mancati momenti di profonda tensione. Basti pensare alla triste vicenda della gambizzazione, infertagli in un ristorante di Avellino, nel novembre del 1981. Luigi Necco, infatti, con estremo coraggio, e con grande senso del dovere, aveva osato parlare in tv dell’ambiguo episodio che aveva visto l’allora presidente dell’Avellino calcio recarsi in compagnia di un calciatore a una delle tante udienze del processo a Raffaele Cutolo – capo della Nuova Camorra Organizzata – per consegnargli una medaglia d’oro.
Insomma, il giornalista napoletano è stato un vero e proprio “mostro sacro”, un Figlio illustre di Napoli da onorare ed omaggiare da oggi a sempre. Per quanto ci riguarda, poi, noi giovani, soprattutto coloro i quali – come chi scrive – aspirano a voler intraprendere la professione stupenda del giornalismo, abbiamo non solo il dovere di conoscerlo, ma il compito di studiarlo. Necco è stato, difatti, un grande maestro della comunicazione, un talento immenso, e dobbiamo allora trovare il modo affinché attraverso di noi sopravviva il suo ricordo e, soprattutto, dobbiamo apprendere la maniera per far sì che dentro di noi, per essere migliori, viva un po’ del suo genuino e inconfondibile stile