“Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. […] C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.”
L’11 aprile del 1987, moriva suicida, a Torino, la sua città natale, lo scrittore e poeta Primo Levi. Egli si uccise gettandosi dalla tromba delle scale della sua abitazione e riguardo ai motivi che lo spinsero a compiere questo gesto si possono fare soltanto delle ipotesi. Probabilmente, lo scrittore provava un senso di vergogna – tipico di chi sopravvive a una tragedia – per essere sopravvissuto allo sterminio nazista e, inoltre, la mancanza di risposte alla domanda “Perché io?” (che è il tema centrale del suo libro “I sommersi e i salvati”) lo condusse a una forte depressione. Primo Levi sentiva, poi, di aver ricevuto un “dono avvelenato”, ovvero quello di dover raccontare ciò che aveva vissuto, costringendolo a rivivere continuamente la sua sofferenza.
Oggi, nell’anniversario della sua scomparsa, è quindi molto più che doveroso da parte nostra ricordare e rendere omaggio allo scrittore torinese, tenendo ben vivi, nella nostra mente e nel nostro spirito, il suo messaggio, il suo insegnamento e la sua testimonianza. Come disse lo stesso Primo Levi, infatti, “la peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia” ed è pertanto necessario vigilare affinché non si ripetano mai più orrori come quello dell’Olocausto. I virus dell’odio verso l’altro, della discriminazione, dell’intolleranza e del razzismo, purtroppo, continuano ad infestare la nostra società e il nostro impegno deve assolutamente muoversi nel senso di essere un argine a questi fenomeni pericolosi, prima che si possa arrivare a una vera e propria degenerazione, con tanto di derive violente.
Primo Levi nacque nel capoluogo piemontese il 31 luglio del 1919 e, nel 1934, si iscrisse al Ginnasio dove, in realtà, emerse la sua passione per la chimica e la biologia. Dopo il Liceo, non a caso, egli si iscrisse alla Facoltà di Scienze all’Università di Torino e si laureò con lode. Ma un piccolo particolare, purtroppo, incise negativamente su quel traguardo raggiunto con grande merito; sulla sua tesi di laurea, invero, Levi si vide costretto a riportare la dicitura “di razza ebraica”. Nel 1942, lo scrittore si trasferì a Milano mentre la guerra sconvolgeva tutta Europa e i tedeschi avevano invaso la penisola italiana. Nel 1943, Levi si rifugiò sulle montagne sopra Aosta, unendosi ad altri partigiani, ma venne però quasi subito catturato dalla milizia fascista e, così, fu internato prima nel campo di concentramento di Fossoli e successivamente fu deportato ad Auschwitz. Proprio questa sua orribile esperienza nel lager è raccontata nel romanzo-testimonianza, “Se questo è un uomo”, pubblicato nel 1947, e che tutti, almeno una volta nella vita, dovremmo leggere per il suo enorme valore storico e letterario. In una nota intervista concessa poco dopo la pubblicazione, Primo Levi affermò di essere disposto a perdonare i suoi aguzzini e di non provare rancore verso i nazisti; ciò che che per lui era più importante, come disse, era solo rendere una testimonianza diretta, allo scopo di fornire un un monito per le generazioni future. Lo scrittore venne liberato dalla prigionia ad Auschwitz il 27 gennaio 1945 in occasione dell’arrivo dei Russi al campo di concentramento. Proprio il 27 gennaio, come sappiamo, è stato scelto per celebrare la Giornata della Memoria per le vittime della Shoah. Nel 1963, Levi pubblicò il suo secondo libro “La tregua” – per il quale vinse il premio Campiello -, che è il seguito di “Se questo è un uomo” in quanto è appunto incentrato sul ritorno a casa dopo la liberazione. Altre sue opere da menzionare sono una raccolta di racconti dal titolo “Storie naturali”; una seconda raccolta di racconti, “Vizio di forma” e una terza intitolata “Il sistema periodico”. Poi, una raccolta di poesie “L’osteria di Brema” e, oltre ai già citati, altri libri come “La chiave a stella”, “La ricerca delle radici”, “Antologia personale” e “Se non ora quando”, con il quale vinse, per la seconda volta, il Premio Campiello.