“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.“
Il 9 maggio del 1978, a soli 30 anni, veniva ucciso a Cinisi, la sua città natale, in Sicilia, Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino. Egli proveniva da una famiglia legata al crimine organizzato ma ebbe l’enorme coraggio di fare una scelta di rottura, denunciando Cosa Nostra e impegnandosi, fino a sacrificare la sua vita, per la lotta contro il sistema mafioso. Proprio per tale motivo fu cacciato di casa dal padre, la cui sorella aveva sposato il boss Cesare Manzella e che era un amico stretto di Gaetano Badalamenti, il capomafia della zona, il quale, come diceva lo stesso Peppino, abitava “a cento passi” da casa sua.
Come sappiamo, il giovane si distinse notevolmente nell’attivismo politico e culturale; già nel 1968 assunse, infatti, la direzione dei gruppi di Nuova Sinistra e appoggiò le lotte dei contadini espropriati delle loro terre, degli edili e dei disoccupati. Nel 1976, poi, Impastato fondò la famosa Radio Aut, un’emittente libera e autofinanziata con la quale, appunto, denunciò i crimini e gli affari della mafia, nonché i suoi scomodi intrecci con la politica. Nel 1978, il giornalista si candidò nella lista di Democrazia Proletaria per le elezioni comunali ma non fece in tempo a conoscere l’esito (pochi giorni dopo gli elettori di Cinisi lo elessero simbolicamente al Consiglio Comunale). Il 9 maggio del ’78, Peppino Impastato, infatti, venne ritrovato morto, con il corpo sfigurato dai sassi e dilaniato da una carica esplosiva, nei pressi di un binario ferroviario. In quei giorni, la sua morte passò quasi inosservata perché nelle stesse ore venne rinvenuto anche il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, in via Caetani a Roma. In un primo momento, come sappiamo, sporcate dai depistaggi, le indagini parlarono di un atto terroristico finito male e addirittura di suicidio, ma, ovviamente, era ben chiaro ai più che la responsabilità dell’omicidio era da attribuire a Cosa Nostra. Solo grazie alle lotte della madre Felicia e del fratello Giovanni – allontanatisi anche loro dall’ambiente malavitoso – quasi venti anni dopo, nel 1997, venne emesso un ordine di cattura per Gaetano Badalamenti, riconosciuto come mandante. La condanna all’ergastolo per lui arrivò nel 2002, mentre nell’anno precedente era già stato condannato a 30 anni di reclusione il suo vice, Vito Palazzolo.
Nel 2000, il regista Marco Tullio Giordana dedicò alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato il film I cento passi, il cui titolo prende il nome proprio dal numero di passi di distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti.
Nell’anniversario della sua uccisione è dunque assolutamente necessario, anche da parte nostra, ricordare e rendere omaggio a questo giornalista-eroe, vero e proprio simbolo dell’anti-mafia.