Se non ci fosse stato Gian Lorenzo Bernini, Roma non sarebbe stata la stessa; di sicuro, avrebbe avuto, a prescindere, il suo fascino, ovvero quello di una città millenaria che ha scritto la storia, ma le sarebbe mancato qualcosa. In un certo senso, con un paragone forse un po’ ardito, possiamo affermare che Bernini è stato per la nostra capitale quello che Gaudì è stato per Barcellona. Invero, nessun artista ha saputo plasmare la Roma del XVII secolo più di lui, che lavorò per otto papi, riuscendo a lasciare un segno indelebile nella città eterna, dando voce, con le sue opere, alla sua anima passionale, intensa e geniale. Oggi, 28 novembre, ricorre l’anniversario della sua scomparsa, la quale avvenne proprio nella capitale nel 1860. Ci sembra pertanto doveroso ricordare la sua straordinaria figura che, in qualità di artista poliedrico e multiforme (egli fu scultore, urbanista, architetto, pittore, scenografo e finanche commediografo) è considerata la principale espressione della cultura figurativa barocca. La sua opera conobbe un clamoroso successo e dominò la scena europea per più di un secolo dopo la morte; analogamente, l’influenza di Bernini sui contemporanei e sui posteri fu di enorme portata.
Figlio di Pietro, fiorentino di origine, ma negli anni della nascita di Gian Lorenzo attivo a Napoli per la Certosa di San Martino, Gian Lorenzo Bernini nacque appunto nella città partenopea nel 1598, ma fu poi a Roma con la famiglia, già nel 1605. Affiancando inizialmente il padre, egli si inserì presto nell’orbita del cardinale Scipione Borghese e di suo zio, il potente pontefice Paolo V. Testimonianza dei suoi inizi è la Capra Amaltea del 1615, esposta nella Galleria Borghese, in cui il giovane scultore dimostrò di saper ben imitare le sculture classiche. Tra il 1621 e il 1625, l’artista fu impegnato nei quattro gruppi scultorei realizzati per il Casino Borghese: l’Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, il David e l’Apollo e Dafne. Bernini si occupò, in aggiunta, anche di restauri di opere classiche, come il celebre Ares Ludovisi nel Palazzo Altemps, e si distinse nei ritratti, come i due che eseguì per il protettore Scipione Borghese nel 1632 e attualmente conservati anche loro nella Galleria Borghese. Durante i pontificati successivi, da Urbano a Clemente X Altieri, come si diceva, egli cambiò il volto di Roma con capolavori assoluti quali il Baldacchino, il Colonnato, la Scala Regia nella Basilica di San Pietro; l’Abacuc e l’Angelo in Santa Maria del Popolo; le fontane tra cui la Fontana del Tritone e la Fontana dei Quattro Fiumi; le celebri Estasi di Santa Teresa d’Avila (Santa Maria della Vittoria) e di Ludovica Albertoni; gli Angeli per Ponte Sant’Angelo.
Nel 1665, poi, Bernini andò in Francia dove eseguì alcuni progetti per il Louvre, realizzò il Busto di Luigi XIV e iniziò il Monumento equestre di Luigi XIV. La sua ultima opera fu il Busto di Cristo per San Sebastiano fuori le mura nel 1680.