Il 15 settembre del 2006, all’età di 77 anni, moriva nella casa di cura Santa Chiara, a Firenze, la sua amatissima città, Oriana Fallaci. Scrittrice (anche se preferiva definirsi ed essere definita uno scrittore) e giornalista, ella ha rappresentato, sicuramente, una delle personalità intellettuali più importanti del secolo scorso. Fu la prima donna a vestire i panni di inviato speciale su un fronte di guerra. Come possiamo ben ricordare, specie nell’ultima parte della sua vita, attorno a sé attirò accese polemiche, per via delle sue nette prese di posizione in chiave anti-islamica, a seguito dell’attentato alle Torri gemelle. All’indomani dell’11 settembre 2001, infatti, la Fallaci, che viveva a New York, sua seconda patria, ruppe il silenzio nel quale si era confinata in seguito alla malattia (il cancro, che lei chiamava l’Alieno) e scrisse un articolo-fiume, La rabbia e l’orgoglio, in forma di lettera viscerale, che spedì a Ferruccio De Bortoli, il quale all’epoca era il direttore del Corriere della sera. Lo scritto apparso sulle pagine del giornale il 29 settembre dello stesso anno, venne poi pubblicato come libro di 162 pagine. I suoi toni durissimi ebbero un forte impatto giornalistico e destarono una ferma reazione da parte di altri scrittori e intellettuali, come Dacia Mariani e Tiziano Terzani, il quale, legato a lei da un rapporto di stima, le rispose, in ottobre, indirizzandole una lettera aperta sempre sulle pagine del Corriere della Sera; una risposta la sua, diametralmente opposta alla prima, che, senza dubbio, vi consigliamo di leggere.
Ma se sulle idee della scrittrice (dall’islam, all’aborto, al femminismo fino all’eutanasia e alle adozioni gay) si può essere d’accordo o meno, per quanto riguarda il suo genio letterario, esso è indiscutibile: la Fallaci è stata una penna ammirabile e dal valore inestimabile, una delle più grandi nel panorama della Letteratura italiana. Con i suoi dodici libri, tradotti in trenta paesi, non a caso, ella ha venduto all’incirca venti milioni di copie in tutto il mondo. In questo giorno in cui ricorre l’anniversario della sua scomparsa, vogliamo dunque mettere da parte le dispute e le strumentalizzazioni politiche e, piuttosto, vogliamo dedicarle un ricordo. Anche perché la fiorentina ha rappresentato una vastità di aspetti e concentrarsi esclusivamente sulle diatribe attorno alla sua figura è decisamente riduttivo. Senza parlare dei tanti, troppi che la citano a sporposito per supportare posizioni di estrema destra, dimenticando che lei lottò accanto ai partigiani. Con il suo stile nella scrittura, il suo modo di intervistare e il suo essere molto poco politicamente corretta, la Fallaci si fece strada in un mondo che fino a quel momento era stato totalmente precluso alle donne. Da giornalista, arrivò a interrogare gli uomini più potenti del periodo, solo per citarne alcuni: re Husayn di Giordania, Pietro Nenni, Giulio Andreotti, Giorgio Amendola, l’arcivescovo Makarios, Yasser Arafat, Mohammad Reza Pahlavi, Hailé Selassié, Henry Kissinger, Walter Cronkite, Federico Fellini, Indira Gandhi, Golda Meir, Nguyen Van Thieu, Zulfiqar Ali Bhutto, Deng Xiaoping, Willy Brandt, Sean Connery, Mu’ammar Gheddafi e l’ayatollah Khomeini. Molte sue interviste sono raccolte in Intervista con la storia del 1974. Celebre fu l’incontro con Khomeni, durante il colloquio, la Fallaci, infatti, gli rivolse quesiti scomodi, lo apostrofò come “tiranno” e si tolse il chador che era stata costretta a indossare per essere ammessa alla sua presenza, dopo che l’ayatollah, alle incalzanti domande sulla condizione della donna in Iran, disse che la veste islamica era per donne “perbene” e se non le andava bene non doveva metterlo. Ella, del resto, si batté con tenacia per dare voce alle donne. Nel 1960 le fu assegnata un’inchiesta sulla condizione femminile nel mondo e questo le permise di visitare l’Oriente in compagnia dell’amico fotografo Duilio Pallottelli. Dal reportage Viaggio intorno alla donna, pubblicato su L’Europeo, nacque poi il libro-inchiesta Il sesso inutile (1961). Sempre negli anni Sessanta, precisamente nel 1962, pubblicò il suo primo romanzo narrativo, Penelope alla guerra. Nel 1965, invece, uscì Se il Sole muore, incentrato sulle sue esperienze, a contatto con gli astronauti, nelle basi della Nasa negli Stati Uniti, nel pieno dei tesi rapporti geopolitici con l’Unione Sovietica. Nel 1967 si recò sul campo nel conflitto in Vietnam – dove tornò per ben dodici volte – sul quale scrisse Niente e così sia (1969). Da inviata di guerra fu presente pure in India, Pakistan e Sudamerica, qui, a Città del Messico, rischiò di morire in Piazza delle Tre Cultura durante la repressione militare dei moti studenteschi.
Conosciutissima è la storia d’amore con il greco Alexandros Panagulis, soprannominato Alekos, il quale fu un personaggio centrale nel periodo della Resistenza greca alla dittatura dei Colonnelli. Proprio a lui e alla sua vicenda personale e politica dedicò un libro struggente e intenso, Un uomo (1979). Il libro Lettera a un bambino mai nato del 1975, invece, è un’opera in parte autobiografica, dove la scrittrice affrontò il tema dell’aborto che, purtroppo, visse sulla sua pelle per ben due volte.
Nel 1990, la reporter tornò a parlare di guerra e scrisse Insciallah, sul conflitto civile in Libano negli anni Ottanta, che vide l’impegno anche dell’Italia. La Forza della Ragione (2004) e lo scritto autobiografico Oriana Fallaci intervista se stessa – L’Apocalisse (2004), infine, concludono la Trilogia di Oriana Fallaci (il terzo è La rabbia e l’orgoglio del 2001). Non fece in tempo a portare a compimento, invece, Un cappello pieno di ciliegie che uscì postumo e incompleto nel 2008, due anni dopo la sua morte, e nel quale volle trattare – intrecciando il tutto con la Storia -, della sua famiglia, a partire dai suoi antenati.
La vita di Oriana Fallaci, con evidenza, è stata consacrata alla scrittura, alla sua più grande passione, coltivata fin da fanciulla quando, con la sua bici, faceva la staffetta per i partigiani antifascisti – tra cui vi era anche il suo amato papà – e usava i pochi soldi di cui poteva disporre per comprare i libri; perché lei voleva, più di ogni altra cosa al mondo, diventare una scrittrice, o meglio, per dirla come avrebbe gradito, “uno scrittore”.