Il 3 ottobre del 1839 veniva inaugurata a Napoli, da re Ferdinado II di Borbone, la prima ferrovia su rotaie dell’intera Penisola. Parliamo, ovviamente, della famosa Napoli-Portici. Essa era di circa 7,5 chilometri, ma, nel progetto originario, avrebbe dovuto raggiungere anche Castellamare e Nocera, allungandosi quindi ulteriormente. La stazione di capolinea si trovava lungo l’attuale Corso Garibaldi, nei pressi di Porta Nolana, lì dove oggi vi è la Circumvesuviana. Tuttavia, della struttura storica sono rimasti solo pochi resti, per giunta dimenticati da tutti e abbandonati a loro stessi. Dunque, in questa data di 182 anni fa, come viaggio inaugurale, venne fatta partire da Portici – poiché la stazione di Napoli non era ancora pronta – la locomotiva a vapore “Vesuvio”, di fattura inglese, con 258 passeggeri, la quale percorse la tratta in una decina di minuti circa alla velocità di 50 km orari. Quella stessa mattina, il Re si recò nella villa del Carrione al Granatello di Portici, dove era stato allestito il padiglione reale, e lì ricevette il costruttore e gestore Armando Giuseppe Bayard con la sua squadra di ingegneri e insieme presero posto sul convoglio inaugurale. Ferdinando II, in aggiunta, tenne un discorso in francese con il quale auspicò di veder realizzata la ferrovia fino al mare Adriatico e, a mezzogiorno in punto, ordinò la partenza. Sul primo mezzo ferroviario viaggiarono 48 personalità, una rappresentanza militare costituita da 60 ufficiali, 30 fanti, 30 artiglieri e 60 marinai. Nell’ultima vettura, invece, prese posto la banda della guardia reale.
Questa opera, totalmente innovativa per il periodo, ci restituisce la portata della potenza del Regno delle Due Sicilie, capace di sperimentare e di essere pioniere nelle infrastrutture e nelle forme di trasporto. La lungimiranza del re Ferdinando, del resto, arrivò fino al punto di prevedere un’industria per la costruzione dei materiali necessari per lo sviluppo di suddetto sistema, ovvero il “Reale opificio Pirotecnico e della locomotiva”. Purtroppo, dopo il 1860, con l’Unità d’Italia e il rafforzamento degli investimenti, pure nell’ambito ferroviario, principalmente per le città settentrionali, la produzione venne a concludersi, determinando, peraltro, anche la perdita di numerosi posti di lavoro. A tal proposito, è da ricordare il caso dei “martiri di Pietrarsa”, ovvero dei nove operai che morirono negli scontri, nel tentativo eroico di impedire la chiusura e il licenziamento. Oggi, a testimonianza di tutto ciò, rimane un interessantissimo museo, il Museo di Pietrarsa, del quale si consiglia una visita.
In effetti, nei 10 anni successivi al 1860, l’incremento della rete avvenne eminentemente al Centro-Nord e le uniche linee aperte al Sud furono quelle già in buona parte realizzate. Basti pensare che Reggio Calabria fu raggiunta solo nel 1895. Dal 1863 al 1898, nell’Italia centro settentrionale per le ferrovie furono spesi 1.400 milioni di lire; solo 700, invece, in quella meridionale ed insulare. Quindi come è evidente, mentre nella prima parte dell’Ottocento il Sud Italia cominciava a dotarsi di sistemi all’avanguardia per quegli anni, nel 2021, di contro, per ragioni che affondano le radici nella Storia, ci sono ancora molti posti non coperti dai mezzi di locomozione, oppure ampie zone nelle quali la rete non è adeguata e soddisfacente, almeno per un Paese che voglia dirsi civile. La discrepanza tra Settentrione e Meridione anche su questo tema – come per le autostrade e gli aeroporti – continua ad essere alquanto scandalosa e inaccettabile. Riscoprire la nostra Storia e la nostra cultura non deve essere pertanto un mero esercizio di memoria per celebrare il passato, ma deve essere, piuttosto, il pungolo e lo stimolo per tornare a riappropriarci di noi stessi.
Ripartiamo dalla Napoli-Portici per percorrere insieme la via del futuro.