Nato a Napoli il 19 settembre 1959, Giancarlo Siani è stato un giovane giornalista con uno spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione. Vittima della criminalità organizzata, venne ucciso a soli 26 anni sotto casa, nel quartiere residenziale del vomero. Un personaggio scomodo per la camorra, della quale Siani cercò di carpirne le metodologie, andando sempre più a fondo nelle questioni delinquenziali che riguardavano diverse famiglie camorristiche. L’interesse sociale venne approfondito da lui soprattutto a seguito del suo trasferimento, dapprima al periodico “osservatorio sulla camorra”, rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti, e successivamente al quotidiano “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia. Calandosi nella realtà torrese esaminò delle inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell’impero economico del boss locale, Valentino Gionta. Divenne così la voce della legalità, per chi non aveva il coraggio di parlarne, attraverso movimenti del fronte anticamorra e manifesti di impegno civile e democratico. La sua morte fu dovuta ad un articolo che scrisse su “Il Mattino” il 10 giugno 1985, nel quale spiegava le modalità con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta e come quest’ultimo fosse diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta, amico e referente in Campania della mafia di Totò Riina. Ma l’ira dei camorristi di Torre Annunziata fu provocata dallo svelare che Nuvoletta, per porre fine all’inimicizia con un altro capo camorristico, con il quale era giunto quasi a far scoppiare una guerra, decise di accontentare la richiesta di costui facendo uccidere Gionta. Nuvoletta che non voleva tradire il suo onore di mafioso eliminando un suo alleato, lo fece arrestare tramite una soffiata giunta ai carabinieri da un suo affiliato. Fu questo particolare, di cui venne a conoscenza da un amico carabiniere, che incastrò Siani e ne decretò la fine. Egli resta il simbolo della lotta contro l’illegalità e la criminalità organizzata, portavoce di una realtà napoletana terribile e di un popolo vittima dei soprusi di coloro che operano semplicemente per fare del male