Nel cuore di Napoli, in pieno centro storico e più precisamente in vico Santa Luciella ai Librai, è stato aperto il 21 febbraio il museo delle torture, nel quale sono esposti sessanta attrezzi di tortura che riguardano il periodo dell’Inquisizione. Un evento alquanto paradossale, dal momento che a Napoli l’Inquisizione non è mai stata introdotta. Secondo gli storici, infatti, essa va ricondotta al conflitto sorto tra papa Gregorio IX e Federico II, con l’obiettivo da parte del pontefice di ostacolare l’azione sopraffattrice dell’imperatore mantenendo l’autonomia spirituale. Tuttavia, non riuscì nell’intento, poiché all’istituzione inquisitoriale promossa dalla Chiesa, Federico II agì impedendo l’intromissione del papa nella direzione di poteri pubblici che spettava al sovrano in qualità di supremo tutore del diritto vigente.L’Inquisizione, almeno fino al XIV secolo, agiva per reprimere una serie di atti considerati illegali dalla Chiesa. Si trattava di una colpevolizzazione non tanto per punire spiritualmente la coscienza individuale, quanto della violazione di attività esterne, pubbliche, da parte di coloro che erano propriamente detti eretici.Il museo delle torture è stato, dunque, creato allo scopo di far conoscere ai napoletani quello che accadeva nell’Europa del tempo, sottomessa all’azione indagatrice e punificatrice della Chiesa. Nato dalla collaborazione fortuita di Oscar Mattera e Paolo Lupo, entrambi tra gli animatori dell’associazione Napoli, storia e cultura, il museo, suddiviso su due piani, offre la possibilità di conoscere le metodologie di punizione e disumanità usate all’epoca. I cimeli (lo schiacciapollici, il cucchiaio cavaocchi, la gogna a violino, una mannaia per amputare le dita, una pinza strappalingua, un cerchio stracciatesta, i chiodi per la crocefissione, le fruste, e molti altri ancora) risalgono al XVI, XVII e XVIII secolo, con ricostruzioni del tardo Ottocento e dei primi anni del Novecento. Cosa interessante, gli attrezzi utilizzati dall’Inquisizione non erano finalizzati alla morte, bensì a creare dolore affinchè il condannato potesse confessare colpe che magari non aveva commesso. Esistevano dei cicli di tortura: ogni ciclo durava un’ora, alla fine della quale il condannato aveva diritto a 24 ore di riposo e di assistenza da parte di uno o più medici, così da essere poi pronto, passate le 24 ore, ad un altro ciclo di tortura.Il merito del popolo napoletano va accreditato alla sua unicità nel ribellarsi all’Inquisizione. Di qui la scelta di fondare il museo, anche per infondere orgoglio alla città partenopea.
Per info sugli orari e la visita al museo: www.museodelletorture.it