Amelia Dyer è stata un’ infermiera dell’ 800 che per costruirsi la propria indipendenza economica mise in piedi un business dell’orrore: con la promessa di occuparsi dei bambini di cui le donne volevano o dovevano disfarsi chiedeva una cifra di denaro in cambio ed un pacco di vestiti adatti per il bambino, dopo aver ricevuto la quota lasciava inizialmente morire i bambini di fame finché sceglierà di ammazzarli lei stessa, perché anche quei pochi giorni di vita le comportavano delle spese e del tempo che avrebbe potuto monetizzare alla ricerca di un’ altro bambino.
Si stimano circa quattrocento bambini morti per mano della non così tanto amorevole bambinaia che agii indisturbata per circa vent’anni.
CHI ERA AMELIA DYER?
Siamo in epoca vittoriana, Amelia Dyer è una giovane infermiera particolarmente ambiziosa: il suo scopo è raggiungere l’ indipendenza economica necessaria per non dipendere da nessuno ed è disposta a tutto per ottenerla.
Durante il suo lavoro in manicomio, ad oggi ospedale psichiatrico, si accorge di un interessante giro economico di un’ ostetrica che guadagnava impegnandosi a far adottare bambini che non potevano essere accuditi dai genitori naturali perché illegittimi, nati da violenze o perché non avevano la possibilità economica di provvedere al neonato.
La donna viene arrestata e Amelia vede in quest’ episodio un occasione imperdibile ed inizia così la sua Baby Farms.
GLI OMICIDI
Dopo aver ricevuto la quota e lo scatolone di vestiti sedava i bambini con uno sciroppo all’oppio; all’ epoca era consueto utilizzarlo per tenere i bambini tranquilli ma un assunzione prolungata causava perdita d’appetito da parte del bambino con il conseguente rifiuto del cibo, arrivando così a morire di fame. Al tempo non era ancora stata scoperta questa correlazione ed i bambini venivano dichiarati morti per malnutrizione o per essere nati già deboli.
Amelia sfruttò a lungo questo ingegno facendo così morire centinaia di bambini, finché si rese conto che questa metodologia le comportava sia la spesa dello sciroppo che la perdita di alcuni giorni alle prese con il bambino e decise di passare ad un metodo più veloce.
Da questo momento inizia il modus operandi del serial killer: accoglieva le vittime e nella stessa giornata le strangolava con del nastro bianco da sarta che poi lasciava al collo del neonato chiuso in un fiocchetto; questa diventerà la sua firma, un nastro bianco come le anime dei bambini innocenti soggetti a questo spietato destino. I piccoli cadaveri venivano poi gettati nel Tamigi il cui letto divenne ben presto un cimitero di corpicini.
LA CATTURA
A seguito di una segnalazione di un medico legale che registrava le numerose morti dei bambini ad opera della bambinaia, Amelia venne condannata a sei mesi di lavori forzati, in quanto fu dapprima accusata solo di malnutrizione, dai quali uscì psicologicamente distrutta, venendo più volte rinchiusa in ospedale psichiatrico ma non abbandonando mai la sua attività, anzi fu a seguito di ciò che decise di passare al modus operandi più veloce così da schivare anche il verbale del medico legale e poter lavorare inosservata, spostandosi anche fra varie zone e cambiando identità, affinando cosi la sua professione come abile trasformista.
Il 30 marzo del 1896 un barcaiolo pesca nel fiume un sacco dal quale emerge il corpo di una bambina. La polizia esaminando la carta d’imballaggio in cui era avvolto il cadavere, trovò una scritta che segnava un indirizzo e un nome fasullo utilizzato da Amelia.
Gli agenti raccolsero informazioni su di lei e la misero sotto sorveglianza. Mandarono una complice a parlarle fingendosi interessata al suo servizio, avendo così conferma dell’esistenza di questo mercato delle adozioni.
L’appartamento venne perquisito e vi fu trovato abbastanza materiale e forte tanfo di putrefazione da arrestare la Dyer. La collegarono così alla morte della bambina ma successivamente dragarono il Tamigi e vi trovarono altri 6 corpi tutti con il nastro bianco al collo; fecero infine una stima di quanto potesse aver ucciso in venti anni; divenne fortemente sospettata di oltre 200 morti in totale, fino a un massimo di 400.
Fu impiccata alle nove del mattino del 10 giugno 1896 nella Newgate Prison di Londra. Le sue ultime parole, poco prima che la botola sotto di lei si aprisse, furono “non ho nulla da dire”.
IL PROFILO
Amelia Dyer, come tutti i serial killer, era sprovvista di empatia e in questo caso anche di amore materno. Non ha mai provato rimorso verso le povere creature piangenti nell’attesa di cure amorevoli, erano soltanto un mezzo per assicurassi del denaro.
Facendo un passo indietro fino all’infanzia della Dyer sappiamo che da bambina si prese cura di sua madre malata di tifo con conseguente malattia mentale, nonostante le cure della piccola Amelia, la madre mori quando lei aveva appena undici anni, è probabile che questo trauma avrà accresciuto in lei la convinzione di non essere in grado di prendersi cura di qualcuno e che non è riuscita ad avere controllo sulla morte.
Ecco perché la sua rivincita diventerà scegliere vita o morte di qualcun altro padroneggiando quel controllo che le era sfuggito e guadagnandoci abbastanza da non dover prendersi cura nemmeno di un marito e vivendo la sua vita in autonomia.
EREDITÀ
In seguito a questo ripulsivo caso le leggi sulle adozioni divennero più severe ma possiamo dire che il vero problema non ha origine da ciò.
Dalla storia di Amelia Dyer si evince come il moralismo sia stato, ed è ancora al giorno d’oggi, un incurabile piaga della società.
Un moralismo che al tempo ha costretto le donne ad abbandonare i loro figli per salvare l’onore della famiglia, preservare la propria integrità e assicurarsi un matrimonio futuro scampando all’etichettamento della società.
Una società malata che costringe all’ immoralità per preservare valori disumanizzanti come unica scelta possibile, una tendenza che adopera ancora ad oggi in altre forme sopravvivendo anche essa da agile trasformista.