Il primo Black Mirror
Sette anni fa andava in onda su Channel 4 nell’isola britannica la prima stagione di Black Mirror, una serie nuova, provocatoria, dai toni – in certe situazioni – squisitamente spudorati e crudi. Sollevò subito un’accesa discussione tra i critici e tra gli spettatori, riscuotendo tutto il successo che meritava.
La sceneggiatura di quasi tutti gli episodi era affidata al noto conduttore televisivo Charlie Brooker, che con eccellente zelo innovativo aveva scandagliato il già usato ambito del rapporto uomo – tecnologia, dipingendo ogni episodio di un’oscurità intrigante che era davvero capace di rivoltare il piattume etico a cui la società odierna è abituata. Così il primissimo episodio della serie, racconta del rapporto sessuale consumato in diretta mondiale tra un maiale e il primo ministro inglese, al fine di salvare la vita a una giovane principessa della famiglia reale. Anche solo guardare oggi quel primo esperimento provoca una fitta assordante al petto che impone anche ai più distratti una forzata riflessione sul concetto di estetica, sulla legge, sulla relatività del bene; E la società inglese – da sempre quella in cui il manierismo sociale si è dimostrato più ostile alle dinamiche libertine – ha, almeno in parte, reagito energicamente a questa provocazione. I personaggi, persino le comparse, sono scritti talmente bene che è stato fin troppo facile per un inglese immedesimarsi in uno di loro. In più la diretta streaming dell’evento, nella finzione della serie, suggeriva proprio un’immedesimazione dello spettatore utilizzando la quarta parete dello schermo come mezzo per trafiggere la coscienza dei molti.
Su queste basi si staglia tutta la prima stagione, e con lei la seconda. Composte da tre episodi ciascuna, le prime stagioni di Back Mirror insistono sul rapporto tra l’uomo – sempre lo stesso, corroso dai vizi e dilaniato da scelte etiche forzate da una più alta morale – e una tecnologia estremamente evoluta. Comunque non il primo tentativo, e nemmeno quello più azzardato, ma la serie funziona e proibisce l’impassibilità.
Ogni episodio – con una trama autoreferenziale già sviluppata – costruisce un’impalcatura drammatica più o meno coinvolgente e al momento più opportuno libera una slavina di disagio, dolore, paranoia e angoscia, veloce e sferzante, che trascina il suoi effetti anche oltre i titoli di coda.
La terza stagione
È quella che, forte della produzione e distruzione di Netflix, ha consacrato la serie al grande pubblico. Gli episodi – stavolta sei invece di tre – seguono la distopica invettiva tracciata dai più anziani esperimenti. Ed è proprio questa una delle critiche mosse alla serie: Alcuni accusano la serie di ridondanza di temi, iuddismo contemporaneo e eccessiva rigidezza nei confronti dei Social Network, come se prima di questi non esistessero infami dinamiche sociali. La risposta a queste critiche trova quasi la stessa superficialità delle stesse. Il soggetto di Black Mirror è sempre l’uomo e le sue scelte, il relativismo eterno che intercorre tra il giusto e la sofferenza, e l’applicazione di determinati tipi di tecnologia è anfiteatro che amplifica, attraverso l’esagerazione, il soggetto e rende più cruda la digestione di alcune scene. Una scelta drammatica, un’ulteriore riflessione, ma fermarsi a questo asporterebbe gli organi interni al capolavoro che è questa serie.
La quarta stagione
29 dicembre 2017, come un invito a perdersi nella contemplazione dell’anno morente, Netflix rilascia la quarta stagione di Black Mirror. La violenza narrativa, dolorosa e asfissiante talvolta come un pugno nello stomaco, è un po’ messa da parte per lasciar più spazio al rapporto con gli organismi di metallo e vetro ogni giorno più vivi. È una scelta che lascia facilmente capire come Black Mirror voglia ritemprarsi sulla critica ad un abuso tecnologico gravante sulle spalle di questi anni ultimi anni ’10, e far leva sugli oscuri utilizzi dell’informatica che tanto scandalizzano l’opinione pubblica e mai come quest’anno sono stati al centro dell’interesse mediatico.
Ancora una volta, prima ancora delle indagine sulle campagne elettorali sui social e lo scandalo della compravendita di informazioni scandaglianti l’intima vita degli ignari consumatori di società virtuale, la serie ha scaraventato sul piccolo schermo un’analisi lungimirante e decisamente degna di nota.