Da qualche anno a questa parte, è cresciuto il numero di persone che, partendo da zero, scelgono di iniziare a coltivare cannabis in casa (per quanto riguarda l’Italia, si tratta soprattutto di cannabis depotenziata, caratterizzata cioè da un basso contenuto di THC).
Quando si decide di comprare semi di cannabis, è naturale vedersi letteralmente investiti da diverse espressioni tecniche. Una di queste è “semi femminizzati”. Cosa vuol dire? Scopriamo assieme la risposta nelle prossime righe di questo articolo.
Semi femminizzati di cannabis: cosa sono e origini
I semi femminizzati di cannabis, come è chiaro dal nome stesso, sono semi che si contraddistinguono per la possibilità quasi certa – parliamo di oltre il 99% – di produrre piante di sesso femminile. Introdotti su larga scala negli anni ‘90, hanno letteralmente rivoluzionato il mondo professionale dei coltivatori di cannabis.
Fino ad allora, quando si piantava si iniziava un vero e proprio gioco della probabilità, con l’ovvia necessità, una volta avviata la fioritura, di escludere gli esemplari maschi, considerati di minor qualità da chi opera nel settore.
Perché le piante di sesso femminile sono considerate migliori?
Dopo queste righe, è naturale chiedersi come mai le piante di cannabis di sesso femminile siano considerate migliori. Il motivo principale è uno, ossia la maggior quantità di cannabinoidi che le caratterizza. Ciò si traduce, lato consumatore, nella possibilità di apprezzare un effetto più intenso.
Il nodo dell’ottimizzazione dello spazio
Un aspetto nodale da considerare nel momento in cui ci si approccia ai semi di cannabis femminizzati riguarda l’ottimizzazione degli spazi dedicati alla coltivazione. Come già detto, nel momento in cui li si utilizza non si ha la necessità di procedere all’eliminazione successiva degli esemplari maschili e si sa già che tutto lo spazio dedicato al raccolto è dedicato a piante che, successivamente, verranno utilizzate.
Semi femminizzati vs semi autofiorenti: punti in comune e differenze
Quando ci si approccia al mondo della cannabis, un’altra espressione tecnica che è normale sentire utilizzare è “semi autofiorenti”. Di cosa si tratta? Di semi che, come dice il nome stesso, sono in grado di fiorire in tempi brevi, dando vita a piante non fotoperiodiche.
Quali sono le differenze rispetto ai semi femminizzati? Quali i punti in comune? Partiamo dalla seconda domanda, ricordando che i semi autofiorenti sono femminizzati. Al netto di questo aspetto, esistono diverse differenze da sottolineare. Nel caso del seme femminizzato non autofiorente, il coltivatore dovrà aspettarsi la nascita di una pianta fotoperiodica, ossia legata, per la crescita, a un preciso ciclo di esposizione alla luce e al buio (idealmente si parla di 12 ore della prima e di 12 del secondo).
Quando si ha a che fare con semi autofiorenti femminizzati, come già detto non sussiste la dipendenza dai cambiamenti di illuminazione (che possono essere sia dovuti al naturale avvicendarsi di giorno e notte, sia a dettagli tecnici artificiali in caso di coltivazione indoor).
Un’altra caratteristica delle piante di cannabis che crescono da semi femminizzati non autofiorenti è legata al maggior vigore. Inoltre, questi esemplari possono raggiungere altezze notevoli, fino a 4 metri in alcuni casi.
Cosa dire, invece, delle piante che crescono da semi femminizzati autofiorenti? Che si ha a che fare con esemplari che, come altezza, possono arrivare a massimo 80 centimetri. Non a caso, quando si chiamano in causa i semi autofiorenti li si inquadra spesso come soluzioni per i coltivatori casalinghi alle prime armi, che hanno bisogno di gestire piante discrete.
Inoltre, le piante che derivano da semi femminizzati autofiorenti sono tendenzialmente più resistenti alle muffe e ai parassiti in generale. Quelle non autofiorenti, invece, sono molto più delicate.
Infine, va ricordato che, quando si ha a che fare con semi femminizzati non autofiorenti, è bene aspettarsi un rendimento maggiore.