Oggi inauguriamo su Nerdangolo una nuova rubrica che parlerà di giochi da tavolo, oggi iniziamo con una breve introduzione dei giochi di ruolo.
Gli elementi tipici
Rompiamo subito il ghiaccio. Gli elementi centrali del gioco di ruolo sono: interpretare un personaggio, seguirne la crescita e, di fatto, sentirlo come parte di sé. Il termine è per lo più conosciuto tramite alcuni prodotti videoludici che contengono questa componente ma in realtà è tipicamente legato a un particolare gioco da vivere “al tavolo”. Pensiamo, ad esempio, ai videogiochi della serie Elder Scrolls, uno degli esempi più celebri di gioco di ruolo interpretabile su computer: aumentare di livello, sbloccare nuove abilità, raccogliere o forgiare equipaggiamento sempre migliore per personalizzare il proprio personaggio e farlo crescere, ecco i tratti principali che lo collocano in questo filone. Tralasciando per un attimo il mondo videoludico, però, si scopre uno sconfinato universo di giochi di ruolo cartacei in cui c’è molto, molto altro: una componente umana, interpretativa, quasi teatrale e, infine, profondamente creativa.
Di cosa parliamo quando parliamo di gioco di ruolo
Come funziona un gioco di ruolo cartaceo? Non servono consolle, server o connessione veloce ma solo amici, una matita e qualche manciata di dadi. Innanzitutto ogni giocatore inventa il proprio personaggio, segnandone i tratti principali sulla scheda del gioco di riferimento. Ogniqualvolta si dovrà risolvere un conflitto, ecco che entrano in gioco uno degli elementi tipici del gioco di ruolo cartaceo: i dadi. A venti, dodici, dieci, otto, sei o quattro facce, decideranno le sorti dei nostri eroi, il cui maggiore o minore valore in una determinata caratteristica aiuterà a mitigare il potere della casualità. La componente interpretativa è uno degli elementi peculiari di questo tipo di giochi: i personaggi hanno un proprio background, vivono vicende segnanti, tragiche o vittoriose, sviluppano una psicologia realistica che il giocatore interpreterà a proprio piacimento per ottenere non semplicemente un eroe senza macchia e senza paura, ma un uomo o una donna dalle mille sfaccettature, persino difetti e contraddizioni.
Vivere è raccontare
Uno dei giocatori, però, deve ricoprire un ruolo diverso da quello di semplice eroe o avventuriero: a lui sta la creazione dell’avventura che i personaggi vivranno durante le sessioni di gioco. Questa figura è definita in vario tipo, da master a narratore, a differenza del gioco a cui si dà vita. Fare il narratore è una bella responsabilità e richiede abilità di scrittura, interpretazione e storytelling, ecco perché quasi tutti i manuali dedicano una sezione a “come fare il narratore” anche se, come si suol dire, il miglior modo di imparare è provare. Dalla bontà della storia che viene creata dipende il divertimento di tutto il gruppo di giocatori: il suo compito non è di minore importanza rispetto ad uno sceneggiatore di serie tv (che deve intrattenere un pubblico per più puntate e tenerlo incollato alla poltrona) e, anzi, è ancor più difficile dal momento che i giocatori, nei panni dei loro personaggi, possono interagire direttamente con qualsiasi elemento della storia e metterne quindi alla prova la coerenza.
Le origini
Il primo gioco di ruolo degno dell’attenzione del grande pubblico fu senza dubbio Dungeons & Dragons (spesso abbreviato dagli affezionati in D&D), la cui prima edizione fu pubblicata nel 1974 dalla TSR degli americani Gary Gygax e Dave Arneson. Il gioco, che presto si sarebbe rivelato il capostipite di una lunga serie di prodotti destinati ad avere successo fra i nerd di tutto il mondo, era ambientato in un mondo fantasy in cui i giocatori potevano interpretare coraggiosi guerrieri, sapienti maghi o scaltri assassini, sconfiggendo mostri sempre più forti e ottenendo un lauto bottino con cui potenziarsi e andare all’avventura più forti di prima. D&D era decisamente improntato ai combattimenti, questo perché la sua origine più diretta erano i wargame e gli skirmish dell’epoca (giochi di miniature in cui, cioè, ci si sfida in combattimenti su grande o piccola scala) e infatti prevedeva anche l’uso di una griglia di battaglia su cui posizionare le miniature al momento dello scontro. Non solo D&D è ancora giocato, ma la vitalità del brand è testimoniato dall’uscita, proprio l’anno scorso, della 5° edizione con cui il gioco sta vivendo una nuova primavera con apprezzamenti di pubblico e critica.
La Forgia
Da Dungeons & Dragons in poi, il gioco di ruolo ne ha fatta di strada, e nuove tendenze sono apparse all’orizzonte già alla fine del secolo scorso, soprattutto per merito della community online The Forge. In reazione ai giochi cosiddetti tradizionali, i giochi di ruolo indie (o, per l’appunto, forgiti) propongono un diverso approccio basato su: collaborazione creativa dei giocatori a sostituire lo strapotere del narratore e meccaniche alternative e originali cucite sul tipo di esperienza che si vuole celebrare. Pensiamo a Fiasco, gioco di Jason Morningstar, in cui si demoliscono alla base i principi del gioco tradizionale: da un lato, i personaggi sono destinati a miseri fallimenti, dall’altro il narratore unico… semplicemente non esiste. Nessuno crea la storia, semplicemente la creano tutti insieme. Oppure, continuando sul filone indie, per giocare a Dread non servono schede, dadi o matita ma solamente una torre Jenga, mentre in Ten Candles si racconta l’inevitabile fine di un mondo divorato dall’oscurità e, al tavolo, la fine di ogni scena sarà scandita dallo spegnere una delle dieci candele che illuminano la vostra stanza fino a rimanere, nel tragico finale, al buio per qualche secondo. Abbiamo appena scalfito la superficie del vasto e attivo mondo dei giochi di ruolo, ma spero che questa breve introduzione possa incuriosire e, perché no, far appassionare a questa filosofia di gioco e condivisione che da anni forgia immaginari, storie, amicizie.