Sono giorni duri per Napoli scossa da una guerra tra clan che non coinvolge, purtroppo, solo i diretti interessati. Solo nell’ultima settimana la camorra ha ucciso tre persone e ciò che più stupisce è che i protagonisti di questa guerra, vittime e carnefici, sono giovani.
La pubblicazione proprio in questi giorni del romanzo Teste matte, scritto a quattro mani da Salvatore Striano e Guido Lombardi, sembra uno scherzo del destino pronto a ricordarci che queste disgrazie avvenivano negli anni 80 come adesso.
È una strana coppia quella che si è messa all’opera per questo romanzo, il figlio di un magistrato e un ex detenuto. Salvatore Striano, detto Sasà, infatti era uno di loro, delle Teste matte. Era un ragazzino dei Quartieri Spagnoli, figlio di Gennaro, lavoratore stabile al porto, e di una madre, il cui fratello carcerato era odiato dai vicini di casa. L’odio è un sentimento cardine di questa vicenda, abita le strade del quartiere dove Sasà si fa le ossa. Ma le sue ossa diventano tanto robuste che non ha più paura di niente, non vuole più sottostare alle regole di un sistema malavitoso che controlla tutto e non lascia margine di libertà ai giovani delinquenti.
Sasà, insieme a Totò, Rummenigge , trafficante di cocaina, e Cheguevara così detto per le sue pulsioni antirivoluzionarie danno il via ad una scissione ante litteram che sposta l’equilibrio tra cutoliani e anticutoliani. Teste matte è il nome che hanno dato loro i giornali, ma rende bene l’idea.
Inizialmente si fanno volere bene dalla gente ma poi finiscono per usare gli stessi mezzi di quel sistema che avevano cercato di combattere. Come ogni guerra prevede prima o dopo ci sono dei morti, e questa guerra finisce in maniera sanguinolente, quasi alla maniera di Al Capone, nella tragedia del Venerdì santo a Sant’Anna di Palazzo. Lì si decide chi comanda. Sasà lascia Napoli, vivrà otto anni in carcere tra la Spagna e l’Italia ma la sua storia personale ha un lieto fine, oggi lo scelgono registi come Garrone, Taviani e Celestini.
Un romanzo feroce e realistico, oggi più che mai, che deve far riflettere sull’eterno ritorno delle tragedie.
Salvatore Striano è nato a Napoli nel 1972. Durante un periodo di reclusione nel carcere di Rebibbia ha frequentato corsi di recitazione, appassionandosi al teatro, soprattutto shakespeariano. Dopo essere uscito grazie all’indulto nel 2006, ha esordito nel cinema grazie al regista Matteo Garrone, che l’ha scritturato per il film Gomorra, tratto dal bestseller di Roberto Saviano. Dopo alcuni anni è ritornato in veste di attore a Rebibbia, dove ha interpretato il ruolo da protagonista di Bruto nel film dei fratelli Taviani Cesare deve morire.
Nel 2013 interpreta il ruolo di Vincenzo De Marchi nella fiction di Canale 5 diretto da Alexis Sweet Il clan dei camorristi[1].
Il 17 ottobre dello stesso anno interviene a al programma di approfondimento politico Servizio pubblico per portare la sua testimonianza sull’emergenza carceri, sulla rieducazione all’interno di esse e sul tema dell’indulto.
Nel 2014 torna in tv con L’oro di Scampia di Beppe Fiorello e al cinema con Take five e I milionari, film ispirato alla vita del boss Paolo Di Lauro.
Guido Lombarti Regista napoletano classe 1975, collabora con diversi registi tra cui Abel Ferrara, il suo esordio nel cinema avviene nel 2009 firmando con altri ventitré registi (fra cui Paolo Sorrentino, Mario Martone) il docufilm Napoli 24. Nel 2010, gira il cortometraggio Vomero Travel, mentre nel 2011 esordisce nel suo primo lungometraggio, Là-bas – Educazione criminale , un film che denuncia lo sfruttamento degli immigrati africani da parte della Camorra, la pellicola ottiene il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis alla XXVI Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2014 esce nelle sale Take five che porta in concorso al Festival del Film di Roma.