Sotto le vesti di una nonnina, con chioma bianca e sorrisetto affabile si nasconde una delle serial killer femminili più prolifere della storia: Dorothea Puente. La dolce e gentile nonnina è stata ribattezzata dai giornali “Death House Landlady” in quanto negli anni 80 gestiva una pensione in California ,nella città di Sacramento, che diventerà letteralmente la casa della morte. Vengono ritrovati sotterrati nel giardino della struttura svariati corpi, alcuni con teste e arti mozzati, ma neanche con il ritrovamento dei corpi venne realmente sospettata grazie al suo aspetto e ai modi di fare, tanto da essere considerata una risorsa per il suo lavoro di cura per gli ultimi della società, stimata da assistenti sociali e cittadini.
CHI ERA DOROTHEA PUENTE?
Dorothea Puente è stata una delle serial killer più prolifere della storia, grazie al suo aspetto da dolce nonnina premurosa, con i suoi vestitini stile regina Elisabetta, riusciva a conquistare la fiducia di chiunque nascondendo in realtà un’ anima oscura e una personalità mitomane.
Vittima di un infanzia disastrosa all’insegna della violenza e dell’alcolismo, figlia di un padre istrionico che tentò più volte il suicidio davanti ai figli. I genitori persero ben presto la custodia della loro prole e Dorothea finì in un orfanotrofio dove subì abusi continui sessuali e non.
Per scappare dall’ orfanotrofio si sposò a sedici anni con un soldato reduce della Seconda guerra mondiale. Da questo matrimonio nacquero due bambine che darà poi in adozione dopo che il marito l’abbandonerà in seguito ad un aborto spontaneo.
Questo allontanamento del marito dopo un evento così toccante fu l’ennesima prova per Dorothea dell’inesistenza dell’amore e iniziò così a dare libero sfogo al suo lato oscuro.
GLI OMICIDI
Dopo svariate attività poco legali e quattro divorzi convenuti per interesse economico (ultimo marito sparito in circostanze misteriose) decide di dedicarsi anima e corpo alla pensione di Sacramento.
Il suo modus operandi consisteva nel raccattare chiunque avesse bisogno di cure o di un tetto sopra la testa, alcuni soggetti le venivano affidati anche dagli assistenti sociali , intascava i loro assegni di provvidenza sociale e poi preparava un gustosissimo drink di medicine che mandava i malcapitati in uno stato catatonico. In questo stato prossimo alla morte li rinchiudeva in una stanza apposita e li lasciava morire, per poi sotterrarli in giardino con il costante aiuto di qualcuno che veniva fatto fuori quando iniziava a diventare scomodo.
LA CATTURA
Un’ assistente sociale insospettita dall’ impossibilità nel mettersi in contatto con una schizofrenica che aveva affidato alla dolce nonnina comincia ad indagare sulla casa di cura e segnala alla polizia i costanti lavori in giardino.
All’interno della struttura non trovano nulla ed iniziano ad occuparsi del terreno; scavando fuoriesce una gamba mozzata. Dorothea incredula, nel suo inconfondibile stile da vecchietta con l’anima pia , dice di non saperne nulla e prega per i corpi rinvenuti.
La polizia scava per tre giorni e vengono identificati nove corpi; Dorothea si giustifica dicendo che sicuramente questi omicidi sono stati compiuti nel periodo in cui lei era in galera per aver intascato gli assegni di provvidenza sociale destinati ai malati, visto che la struttura era comunque abitata da persone poco raccomandabili tra malati mentali, alcolizzati e drogati.
La polizia le crede a tal punto che durante tutto il periodo delle ricerche non verrà mai messa in custodia cautelare anzi inconsapevolmente viene anche aiutata a scappare: si fa accompagnare da un’ agente ad una caffetteria perché manifesta di aver bisogno di rilassarsi dopo gli accaduti.
Da quella caffetteria non farà più ritorno perché si darà ad una breve latitanza di cinque giorni; viene segnalata in brevissimo tempo in quanto il caso era diventato ormai mediatico e le foto della nonnina killer vennero sparse in qualsiasi telegiornale creando un certo interesse.
La prova regina fu l’analisi del delizioso cocktail di medicine, era presente un farmaco, il Dalman, che non era stato prescritto a nessun coinquilino di Dorothea se non a Dorothea stessa.
Il processo inizia nel 1992 e dura circa un anno durante il quale la nonnina non si dichiarò mai colpevole dei cadaveri ma solo di aver intascato i loro soldi. La difesa fu particolarmente abile nel suo lavoro portando testimonianze di persone che erano state realmente aiutate da Dorothea e ricordando le numerose opere benefiche che avevano portato lustro alla città; infatti, venne condannata all’ergastolo ma solo per tre omicidi contro i quindici a cui era stata ricollegata.
Morirà nel carcere Central California Women’s Facility nel marzo 2011.
IL PROFILO
Dorothea Puente non ha mai conosciuto nessuna forma d’amore, non credeva nei legami ma agiva rispettando quella che viene definita “la legge della giungla”, l’unica che ha appreso cercando di schivare un trauma e un abuso. Nella sua visione l’uomo è inteso solo in una condizione utilitaristica: usa gli altri per sopravvivere.
Le viene diagnosticata al tempo la bugia patologica, ad oggi il disturbo di mitomania che porta a manipolare la verità e mentire in modo patologico e continuato.
Ha saputo giocare bene le sue carte grazie alla sua immagine tanto che anche la galera per frode fiscale passa in secondo piano nell’immaginario collettivo perché “in fin de conti si occupa di persone disagiate e ha bisogno di sostentamento”
EREDITÀ
Dorothea più che una serial killer è identificata dall’opinione comune del tempo quasi come una vip, un personaggio che ha creato scalpore e scaturito un certo fascino nell’associare la dolce vecchietta alla serial killer spietata che si è rivelata.
A differenza delle abitazioni degli altri serial killer, che di consuetudine vengono rase al suolo, la casa di Dorothea è rimasta in piedi, anzi è stata affittata ad una giovane coppia che ha deciso di viverci e addirittura di creare una sorta di museo dell’orrore, lasciando la maggior parte delle cose come rimaste dalla nonnina, compreso il pavimento corroso dai liquidi rilasciati dai cadaveri nella stanza della morte. Sono state anche posizionate in giardino delle statue di cera raffiguranti Dorothea alle prese con i suoi omicidi.
Un chiaro esempio di come la moralità umana è soggetta a canoni estetici, quasi la serial killer diviene simpatica all’ idea popolare semplicemente per il suo aspetto, il classico prototipo che ci affiora in testa pensando ad una nonna.
Questa visione è stata conclamata anche in uno studio sociale nel quale bisognava scegliere la condanna per dei soggetti che avevano commesso reati: venivano mostrate foto segnaletiche di persone dall’aspetto rassicurante e foto di persone dall’aspetto compromettente per lo stesso reato: i soggetti con un aspetto meno pregiudizievole venivano condannati ad una pena minore.
Questo è stata l’asso nella manica di Dorothea Puente, un’ amabile nonnina dalle gote rosee che si prende cura degli altri e che addirittura pubblica un tenerissimo libro di ricette culinarie.