La rivoluzione che ha colpito il gioco di ruolo con la community online The Forge ha iniziato il lento, inesorabile e, per taluni, del tutto trascurabile processo di decostruzione dei giochi tradizionali, classici. A giochi di ruolo come Dungeons & Dragons, con una forte autorità narrativa nelle mani di un solo giocatore (il Dungeon Master) e il risultato di quasi ogni azione determinato da un tiro di dado, fanno da contraltare nuovi stili di game design, che spacchettano l’autorità narrativa per poi distribuirla in parti uguali a tutti i giocatori al tavolo. Dread è un gioco del 2006 ideato da Epidiah Ravachol e Nathaniel Barmore, ed è figlio di un nuovo sguardo rivolto al gioco di ruolo, in parte collocabile in questo più ampio movimento di ristrutturazione ludica che potremmo, con un certo ardire e desiderio di semplificazione su larga scala, definire indie. In Dread il master c’è ed è un solo giocatore, l’autorità narrativa appartiene a lui, da questo punto di vista è ancora un gioco classico. È lui che scrive la storia, gestisce il mondo con cui interagiscono i personaggi dei giocatori, fin qui tutto normale. La vera novità di Dread è il sistema utilizzato per gestire le sfide.
Il tipo di narrazione che il gioco intende celebrare è quella ad alta tensione, in particolar modo horror, con situazioni al cardiopalma e un climax crescente che monta dentro di noi fino ad esplodere. Ecco che, allora, il mezzo di risoluzione dei conflitti si sposa alla perfezione con il tipo di esperienza che il gioco vuole trasmettere: utilizziamo una torre Jenga. Tralasciando l’enorme spiraglio di commistione con i giochi da tavolo che percorre tutto un filone dei giochi di ruolo, in cui Dread si colloca alla perfezione, basti sapere che il regolamento è così semplice da essere sintetizzato in: quando un personaggio compie un’azione in cui potrebbe non riuscire a causa di inesperienza o fattori ambientali, ecco che deve estrarre uno (o più) mattoncini dalla torre Jenga e collocarli in cima alla stessa. Se ci riesce senza far crollare la torre, l’azione ha successo, ma se invece fa crollare la struttura, ci rimette le penne. Tutto qui. la meccanica è di una semplicità disarmante ma assicura una tensione continua e crescente al tavolo che vi terrà inchiodati alla sedia. Magari non con troppa forza, non sia mai che le vibrazioni del tavolo facciano venir giù gli odiosi mattoncini e, con essi, le possibilità di sopravvivenza del nostro alter ego.