Percorrendo 8 Avenue du Mahatma Gandhi a Parigi ci si imbatte nei Jardin d’ Acclimamation, un parco in cui l’ autunno inoltrato offre uno spettacolo naturale unico che accende il paesaggio di mille sfumature, le foglie dalle vivaci colorazioni, gialle, rosse, arancioni o marroni, un tripudio cromatico di incantevole bellezza. Questa architettura del paesaggio ospita una delle più importanti istituzioni culturali a livello mondiale, la Fondazione “Louis Vuitton” per l’ arte contemporanea, progettata dall’ archistar Frank Gehry (artefice del museo Guggenheim di Bilbao), una favolosa opera architettonica in grado di organizzare mostre ed eventi con numeri da capogiro, con un eccellente comitato scientifico e uno staff dalla professionalità impeccabile.
Fino al 5 marzo 2018 la Fondazione ospita una delle mostre più attese dell’ anno da parte degli addetti al settore, “Etre moderne le MoMA à Paris“, una esposizione in cui l’ istituzione culturale francese e il MoMA di New York ci accompagnano in un viaggio nell’ arte del XX e XXI secolo e nella storia dell’ evoluzione del museo americano. Una mostra che segue un andamento cronologico sviluppata sui quattro piani dell’ edificio avveniristico, dal 1880 ad oggi, un approccio multidisciplinare che spazia dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al cinema, dall’ incisione al disegno, dal design all’ architettura e dalla performance alla new media art.
L’ inizio del percorso inizia con l’ esposizione dei capolavori che vanno dalle origini europee della modernità fino all’ arte astratta americana dopo la seconda guerra mondiale, è il “Bagnante” di Paul Cezanne ad accogliere i visitatori insieme alla tela “Lo studio” di Pablo Picasso e alla “Casa vicino alla ferrovia” di Edward Hopper, uno dei primi dipinti ad essere inseriti nella collezione, dalla pittura si passa agli oggetti di design industriale, alle fotografie di Walker Evans e al film con Bert Williams, uno dei maggiori intrattenitori e comico fra i più apprezzati dal pubblico del proprio tempo.
L’ evoluzione storica del MoMA coincide con lo sviluppo cronologico della mostra, siamo nel 1939, al decimo anniversario del nuovo edificio, una ricorrenza celebrata con la collettiva “Arte nel nostro tempo” in cui l’ istituzione americana espose “Boy Leading a Horse” di Pablo Picasso e “Goldfish and Palette” di Henri Matisse, ospitate nelle sale della Fondazione. I primi secoli del Novecento sono caratterizzati da diverse correnti artistiche, futuristi, cubisti, poi dadaisti, surrealisti e arte astratta dialogano e si scontrano con la nuova cultura visiva del cinema e della fotografia, con l’ arte “meccanica”, sarà soltanto la Seconda Guerra Mondiale a segnare una rottura con il passato, un esempio è il trittico di Max Beckmann, “Departure”, dopo il conflitto l’ epicentro dell’ arte diventerà il Nord America.
Il movimento espressionista astratto si impone sulla scena internazionale, un riscontro di tale fenomeno è nelle parole di Barnett Newman: “Credo che qui in America, alcuni di noi, liberi dal peso della cultura europea stiano trovando la risposta, negando completamente che l’ arte abbia qualche problema con l’ idea di bellezza e dove trovarlo”, presente in sala con il dipinto “Onement III”, ascrivibile alla cerchia dei “Color Field painting” insieme a Mark Rothko per descrivere l’ uso espressivo del colore e per differenziarsi dall’ action painting di William de Kooning e Jackson Pollock che sottolineavano l’ importanza del gesto.
La risposta artistica negli anni ’50 e ’60 all’ Espressionismo astratto avviene con diversi artisti, Sol Lewittt, Carl Andre, Ellsworth Kelly, Lygia Clark e Frank Stella rielaborarono l’ opera d’arte come una struttura semplice, non referenziale, stabilendo nuove relazioni spaziali al suo interno, una arte minimalista visibile nelle opere presenti al piano terra, idee trasposte in architettura con alcuni esempi, “Lever House” su Park Avenue e i segmenti della facciata continua delle Nazioni Unite, uno stile ereditato in parte da Mies van der rohe e dalla Bauhaus, caratterizzato da un rifiuto dell’ ornamento.Proseguendo il percorso all’ interno della Fondazione si arriva nella grande sala che ospita la sezione “Pop America”, qui viene celebrata la cultura visiva statunitense degli anni ’60, non potevano mancare opere di Andy Warhol presente con la sua produzione seriale di “Campbell’s Soup Cans” e un “redivivo” “Double Elvis”, opere di Roy Liechtstein e di Jasper Johns, artisti che si ispirarono al mondo dell’ industria dell’ intrattenimento e affascinante è la foto “Identical Twins” di Diane Arbus, due gemelle immortalate una accanto all’ altra, l’ istantanea e la composizione dell’ inquadratura sono state riprese dal regista Stanley Kubrick nella realizzazione della celebre sequenza del film “Shining”.
Questo viaggio nella mostra non finisce mai di stupire, le gallerie del primo piano si aprono ai visitatori con nuove forme di espressione artistica sia in America, sia in Europa, “Art in action”, nuovi movimenti di protesta avanzano, si scopre un nuovo ruolo dell’ arte e dell’ artista nel contesto sociale, come i disegni di Robert Smithson, alcuni artisti vanno oltre l’ istituzione museale e le regole imposte dall’ arte, lavorano con il corpo, con materiali poveri, a volte vi è soltanto l’ idea, come nel caso dell’ Arte Concettuale a cui il MoMA nel 1970 renderà omaggio con una mostra. Da una sala all’ altra, da un dipinto ad un altro si raggiungono gli anni che vanno dal 1975 al 2000, un periodo caratterizzato dalle “guerre culturali” fra progressisti e conservatori sulle questioni sociali, Lynn Hershman Leeson sperimenta e combina l’arte con le dinamiche sociali, il rapporto tra le persone e la tecnologia, il mondo reale e il virtuale, i nuovi media, il digitale e le opere interattive, le riflessioni di David Hammons e Jeff Wall sulla razza, Cady Noland sulla violenza, i lavori sulla crisi dell’ AIDS di Felix Gonzales-Torres e General Idea, ci si pongono una serie di domande sullo stato dell’ arte, sull’ ubiquità delle immagini e sul dialogo fra le arti, su queste tematiche lavorano Sherrie Levine, Barbara Kruger, Cindy Shermane e Louise Lawler.
Al secondo piano il fulcro delle gallerie è incentrato sul XXI secolo, sul Digitale e l’ Analogico e sulla loro coesistenza, le opere di Ken Okiishi e Jacob Satterwhite combinano immagini digitali con pittura, performance e video, il reale è distorto e si apre alla finzione che è prefigurata nei disegni di Rem Koolhaas per il libro “Delirious New York”. Una collezione del MoMA che comprende software e interfacce grafiche ma che rivolge l’ occhio alla realtà, un esempio è l’ “Edicola” di Lele Saveri, una ricostruzione di un chiosco gestito da un collettivo di artisti nel 2013 nella metropolitana di New York e il grande collage di Rirkrit Tiravanija è la dimostrazione che c’ è ancora vita per la stampa, per la carta.
Al religioso silenzio dei visitatori all ‘interno della mostra si contrappongono le complesse armonie polifoniche della musica cinquecentesca di Thomas Tallis , “Spem in Alium Nunquam Habui” del “Forty -Part Motet”, nell’ installazione di Janet Cardiff ogni “audio-speaker” rappresenta una delle quaranta voci per le quali è stata scritta la composizione originale, Cardiff ha collaborato con il Coro della Cattedrale di Salisbury, i cui soprani sono bambini, per ottenere una qualità sonora pura e angelica e l’ architettura progettata da Franck Gehry consente di percepirne una musica di altissima qualità.
L’ evoluzione dell’ arte dalla pittura figurativa all’ era del digitale e della globalizzazione all’ interno del percorso espositivo procede di pari passo con la storia, lo sviluppo, la trasformazione e l’ ampliamento del MoMA di New York, una “crescita parallela” che ci consente di comprendere le parole di Alfred H. Barr Jr. che sosteneva che il “moderno” descrive il progresso, l’ originale, il difficile, una sinergia tra il museo MoMA di New York e la Fondazione “Louis Vuitton” che lanciano una sfida ad “essere moderni”. Chapeau.