Federica Manzon ha vinto con Alma (Feltrinelli) il Premio Campiello 2024.
Il suo romanzo in cui è forte il tema dei confini personali e storici ha conquistato il cuore della Giuria dei Trecento Lettori Anonimi con 101 voti. “Visto che è un libro nato nei confini lo vorrei dedicare a tutte le persone che hanno attraversato i confini, soprattutto il confine orientale di Trieste e che lo fanno immaginando e sognando un presente migliore in un momento in cui a Trieste prima ancora che in altre parti di Europa, Schengen è stato sospeso e lo è ancora. Vorrei che questa piccola cosa mia fosse di buon auspicio” ha detto la scrittrice.
Conosciamola meglio attraverso i suoi libri.
Alma
Tre giorni dura il ritorno a Trieste di Alma, che dalla città è fuggita per rifarsi una vita lontano, e ora è tornata per raccogliere l’imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, un padre pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse là nell’isola, all’ombra del maresciallo Tito “occhi di vipera”. A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita. Ritrova la bella casa nel viale dei platani, dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani, distante anni luce dal disordine chiassoso di casa sua, “dove le persone entravano e se ne andavano, e pareva che i vestiti non fossero mai stati tolti dalle valigie”. Ritrova la casa sul Carso, dove si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all’altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l’Austriaungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato “un fratello, un amico, un antagonista”, che Alma deve ricevere l’eredità del padre. Ma Vili è l’ultima persona che vorrebbe rivedere. I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare – l’infanzia, la libertà, la Jugoslavia del padre, l’aria seducente respirata all’ombra del confine – e quello che sarà.
Come si dice addio
Grecia, una zona anonima e inospitale. Uno stage della Comunità europea e un gruppo di ragazzi che non sanno con esattezza cosa li aspetta. Ma ognuno di loro ha una buona ragione per partire. Smarcarsi da una situazione sentimentale bloccata, scappare, o soltanto seguire l’idea che qualcosa è meglio di niente. Una volta arrivati però si troveranno davanti un compito del tutto imprevisto: ammazzare il tempo standosi addosso e dovendo fare i conti con se stessi. Una ragazza ha trovato un suo modo per gestire la convivenza e il quotidiano vuoto: corre e osserva. Youth Center, la spiaggia, le residenze dei ragazzi e delle ragazze, le strade e le botteghe in cui si parla una lingua percepita ma mai davvero compresa, diventano lo sfondo di alleanze e scontri, lo spazio in cui le linee di un’intricata geometria esistenziale si sfiorano, si incrociano o collidono. Questi giovani non vivono in una messa in scena televisiva, non c’è nessuno che possa rimandarli a casa o conferirgli il successo. Eppure, come i protagonisti di un reality, sembrano muoversi sempre in cerca di approvazione, dell'”amore degli altri”. Ma i loro conflitti e abbracci, gli sfoghi eccitati dall’isolamento e dalla deportazione in un luogo estraneo vengono registrati solo furtivamente da una di loro. Quella ragazza che più tardi, quando tutto è finito, si metterà a raccontare.
Di fama e di sventura
“È nato nell’ora degli infelici. Tutti i figli di quell’ora del giorno più caldo hanno un dono. Un dono sfortunato.” Tommaso nasce nell’ora più calda del giorno più caldo dell’estate più calda. “È nato sotto una cattiva stella,” diranno. Ma quel bambino ha qualcosa di speciale. Sarà in grado di capire l’animo delle persone con uno sguardo, di leggere il futuro, ma su di sé attirerà tanto il successo quanto la sventura. Cresciuto da nonna Vittoria, incantatrice di uomini che solo da lui è stata davvero conquistata, Tommaso viene soprannominato sin da subito “l’Indiano”, perché sembra destinato a stare dalla parte dei deboli, dei perdenti. E tuttavia lui sogna di diventare un cowboy. Dopo un inizio segnato da abbandoni e ingiustizie, si getterà nella lotta per ottenere riscatto, lasciando la sua città costiera per immergersi con facilità inaspettata nel mondo dell’alta finanza americana, che trasformerà per sempre la sua natura e il suo sguardo, cancellando l’influsso di nonna Vittoria, dell’amico Ariel Fiore, nuotatore dal carattere gentile facile da amare e tradire, e l’amore di Luce, che la sua storia racconta e il suo nuovo sguardo, quello infine “da cowboy”, fatica a incontrare.
La nostalgia degli altri
Lizzie è volubile, egoista e piena di fascino, una dittatrice nata, circondata da una fama temeraria fin dall’adolescenza a Trieste. Adrian è timido, maldestro, incapace di fare una mossa audace, eppure animato da desideri pericolosi. Lavorano all'”acquario”, una società d’intrattenimento digitale che inventa giochi e mondi immaginari. Lizzie nel reparto Immaginatori, Adrian nel reparto dove si elaborano i numeri e “si trasformano sentimenti e sogni in 0 e 1”. Il loro incontro non potrebbe essere più improbabile, eppure si innamorano. Non si frequentano, ma ogni notte si scrivono. E quanto più i corpi si sottraggono e il contatto virtuale dilaga, tanto più cresce il loro innamoramento. Fatto solo di parole – “perché Adrian scrive, eccome se scrive…”
Il bosco del confine
La narratrice di questa storia è cresciuta in una terra di confine, educata a uno spirito internazionalista dal padre, un pacifista di origini slave che credeva nel libero scambio delle persone, nelle lingue straniere mescolate senza regole e nelle camminate nel bosco. È proprio durante quelle lunghe passeggiate, fatte perlopiù in silenzio o scambiando osservazioni sulle tracce di un cerbiatto o una lepre, che il padre spiega alla figlia che non esistono confini, che il bosco è di tutti, non si divide per nazionalità come una cartina geografica: «hai mai visto una betulla ritrarre i rami per non sconfinare in territorio straniero?». Eppure lei, affascinata e al tempo stesso spaventata, si accorge che i boschi di là sono diversi, più scuri, popolati da orsi: di là c’è la nazione con uno degli eserciti più forti al mondo, una terra di uomini sanguinari con il coltello tra i denti e la barba da pastore, come la descrive la gente della sua città di mare, che sembra aver capito poco della grandezza di quel popolo. Nel giorno del suo sedicesimo compleanno, la protagonista – che a differenza del fratello non teme le temperature da neve e dimostra una certa attitudine allo scivolamento tra i pali da slalom – riceve dal padre un biglietto per assistere alle Olimpiadi invernali di Sarajevo. Il 5 febbraio 1984 partono in macchina per quello che sarà un viaggio rivelatorio, durante il quale si farà largo in lei un sentimento nuovo, un senso di appartenenza strano, un’epifania che culminerà con un fuoripista notturno, a rotta di collo, tra i boschi fitti del Trebević, in compagnia di Luka…