Immaginate di essere nella vostra casa, seduti a tavola a consumare tranquillamente la cena in famiglia, magari commentando la giornata, raccontando i problemi giornalieri o le soddisfazioni lavorative. Immaginate ora di sentire degli spari provenire dall’esterno, colpire qualcosa o qualcuno davanti ai vosti occhi, immaginate quegli istanti di terrore in cui non si capisce cosa stia realmente accadendo, ma che l’istinto percepisce come pericolo.
Siamo a Via Due Ponti, sulla Cassia, è il 9 Ottobre 1998, la scena appena immaginata è realtà in una delle villette di quel quartiere, dove la famiglia Ciampini sta cenando, mentre la televisione racconta le ultime notizie attraverso il Telegiornale. In una totale atmosfera di tranquillità, d’improvviso il vetro della grossa finestra va in frantumi, una tempesta di proiettili si infrangono nella stanza, ad avere la peggio è Eleonora Scoppa, cinquant’anni, madre di quella famiglia che dovrà prematuramente e inspiegabilmente, dovrà dire addio a quella donna.
-Per un istante credevo fosse esplosa la bottiglia d’acqua, poi ho visto mia moglie accasciarsi- racconterà in seguito Stefano Ciampini, dei sette proiettili esplosi dal buio , due colpiscono a morte Eleonora, uno al petto, l’altro a collo, senza lasciare scampo.
Dalle prime indagini, emerse subito che chi aveva compiuto l’omicidio, conosceva bene la casa e che i colpi esplosi non erano intenti a commettere una strage familiare, quindi cosa era realmente successo? Un errore di valutazione? Un tentativo di intimidazione? Chi poteva avercela così tanto con questa tranquilla famiglia? Una famiglia che aveva deciso di vivere vicina, il padre della donna, che viveva qualche villetta più avanti, aveva comprato tre case per le sue figlie, tutte accanto, affinchè l’unione familiare non fosse intaccata. Erano assicuratori, sia Stefano che Eleonora, in quell’agenzia che il padre di quest’ultima aveva intestato alla figlia. Cosa era successo quindi quella sera del 9 Ottobre?
Si prese in considerazione la pista passionale, ma fu una strada senza via d’uscita, quindi ci si concentrò sulla vendetta familiare per una lite legata a questioni economiche fra uno dei cognati, ma anche quest’ipotesi fu scartata velocemente. Quale segreto si nascondeva? Droga? Nessuno della famiglia sembrava averci mai avuto a che fare. Problemi lavorativi? Nessun cliente sembrava covasse tanto odio da voler sterminare la famiglia Ciampini. Rapina? Dopo l’esplosione della pistola, quell’ombra si perse nel buio e in casa non fu toccato niente. Un rompicapo che all’apparenza non aveva soluzione.
Passarono quattro anni, quando come in un film giunse un colpo di scena. Nel 2002, infatti, emerse che un vicino di casa mal sopportava la famiglia Scroppo, rea di essere molto rumorosa e sopratutto essendo proprietari di quattro delle sei ville che costituivano il plesso condominiale, riuscivano sempre ad averla vinta nelle questioni condominiali. Forse debole come movente, ma bastò per incriminare il vicino, che di mestiere faceva l’attore, e che durante gli interrogatori cadde spesso in contraddizione. Ma sopratutto per quella sera sembrava non avesse alibi convincenti. E scavando nella vita dell’attore, si scoprì che aveva recitato in un film che mostrava delle scene molto simili al dramma che si era consumato a Via Due Ponti.
Ma le accuse sono costituite da fatti non da suggestioni o ipotesi, il sospettato aveva confermato che all’ora del delitto si era recato ad un bancomat vicino casa, ma di quel prelievo non vi era traccia, lui ritrattò dicendo che aveva dimenticato la tessera a casa ed era tornato indietro. Tutto molto nebuloso, ma quando si è accusati di qualcosa è facile farsi prendere dal panico e ricordare in maniera frammentaria. Ma c’era dell’altro, un condomino che all’epoca viveva in una di quelle case, disse che l’attore gli aveva domandato come procurarsi una pistola e sopratutto, durante le intercettazioni telefoniche, l’uomo non si era mai lasciato prendere dallo sconforto per le indagini e il sospetto di omicidio. Eccesso di sicurezza o reale innocenza?
Troppe domande senza risposta, pochi indizi, un movente troppo debole, verso la fine del 2002 il pm incaricato decise di chiudere il fascicolo e ne chiese l’archiviazione, basandosi sull’assenza di prove, il sospettato continuava a dichiararsi innocente e sopratutto non c’era nessun testimone. Caso chiuso, l’ennesimo senza colpevole.