Ebbene si.
La donna che usa l’ombrello in maniera assai più efficace di chiunque di noi è tornata sui grandi schermi.
Ed è proprio per questo che mi preme, innanzitutto, formulare un avviso.
Uno degli errori più grandi che si potrebbe fare nella visione di questo film è l’abbandonarsi a un serrato confronto, step by step, con l’originale. Che resta irripetibile, oltre che vero e proprio “EverGreen”.
Un gioiello, cesellato da interpreti d’altri tempi e appartenenti a un periodo storico dove il cinema era, forse, la principale fucina di sogni e fantasie da cui ogni essere umano voleva farsi cullare.
Questa versione si configura più come un remake che come un sequel, nonostante il titolo. E pare cercare un pubblico nuovo, amante del dettaglio visivo quanto della nettezza contenutistica dei dialoghi, che in ogni modo fanno da gradevole cucitura tra le varie fasi della pellicola.
Mary Poppins torna fra noi – giusto a un passo dal Natale -, per dare una mano alla nuova generazione della famiglia Banks, affinchè questa riesca a ritrovare la gioia di vivere, nonchè gustarsi la meraviglia di un mondo interiore – almeno quanto lo stesso si dimostri attinente alla maggior parte delle anime della collettività – e che, con lei, assume le fattezze di un sogno che non si smetterebbe mai di vivere.
Michael Banks, interpretato dall’ottimo Ben Whishaw (“Profumo – Storia di un assassino”) in una Londra non al massimo del fulgore economico e a cavallo delle due guerre, è un vedovo con 3 figli a carico: gli adorati Annabel, John e Georgie, oltre che pittore ormai per diletto, dal momento che è entrato a lavorare in banca. Come, all’epoca, fece il suo papà. Lo stesso istituto di credito che, in virtù di alcune rate di prestito non corrisposte, reclama la sua casa in Viale dei Ciliegi n.17, culla di tante emozioni e di tanti ricordi.
E dove la Mary Poppins di 54 anni fa (l’originale è del 1964) aveva già soggiornato. Quest’ultima, a modo suo, al pari di una vera professionista dell’ascolto, ne corre in soccorso, tornando a calarsi dall’alto appesa al bizzarro manico di legno. E tutto torna a prendere, pian piano, una piega diversa. Tornerà a prendersi cura anche di Michael – a dir poco cresciuto e in preda a una grande nostalgia della moglie perduta – ancor prima dei 3 suoi bambini, che impareranno ben presto quali siano le sue sorprendenti e inarrivabili doti.
Il film è assai gradevole e, ribadisco, appare più simile a un remake che a un sequel, discostandosi dall’originale non per tanto per la cifra stilistica, anche stavolta improntata a mirabolanti viaggi in mondi immaginari (“Stupendosa idea” sostituisce, tutto sommato, lasciando immutata la sostanza di tutto il resto, la celebre espressione “Supercalifragilistichespiralidoso”) quanto per una strutturazione multi-musical che era peraltro lecito aspettarsi da Rob Marshall, l’apprezzato regista di Chicago con Richard Gere.
L’immersione nella vasca verso stupendi mondi sottomarini; il mondo sotto-sopra da governare con uno “Splippete-Sploppete” da parte d’una Meryl Streep (sempre più a suo agio nei ruoli di fattucchiere e affini) nel ruolo della cugina Topsy di Mary Poppins; l’acciarino Jack che prende il posto dello spazzacamino e che corteggia Jane (la sorella maggiore di Michael, mirabilmente simile nello sguardo alla ragazzina dell’originale, interpretata da Karen Dotrice) seguendola come la dolce ombra di un romanticismo asciutto ma efficace; la deliziosa signora dei palloncini interpretata da quella fuoriclasse assoluta di Angela Lansbury; lo spietato William Weatherall Wilkins interpretato da Colin Firth (uno di quelli a cui, per recitare, basta un sorriso); Il signor Dawes Jr., personaggio bizzarro per tempismo e agilità (a fronte di un’età non più verde), interpretato in un esteso cameo dall’immenso Dick Van Dyke, sono elementi cardine del narrato.
Tasselli che hanno però l’eleganza di mettersi da parte ogni volta che irrompe la Mary Poppins di Emily Blunt; gentile, garbata, sorridente il giusto, degna di una nota di merito per aver affrontato – e vinto – la sfida di recitare con somma dignità e decorosa quanto composta grazia nel ruolo di uno dei personaggi più noti dell’intera letteratura cinematografica. Anche la stessa Julie Andrews ne avrà apprezzato la flemma espressiva, potete esserne certi.
Tanta altra musica a sostituire i celebri motivetti, con fasi più estese di ballato, anche collettivo, sempre contornato da grafiche suggestive e con un merito: aver rispolverato il cartone vero, quello in cui ti pare di vedere la successione dei disegni effettuati a mano, e grazie ai quali riesci a intuire il genuino dinamismo dei personaggi. L’impressione che, nel complesso, anche stavolta, basti un poco di zucchero per fare andare giù la pillola. E di buon grado.
In sostanza? Un “giocattolone” grafico di oltre due ore, che ha il coraggio di riproporre un cinema che sembrava essersi perso nel tempo, di certo in grado di affascinare i bambini di oggi.
E che speriamo non torni indietro nelle anguste sacche del dimenticatoio visuale, magari seguendo l’ombrello di una Mary Poppins la cui fase ascensionale decreta, anche stavolta, la fine della storia. Una icona di umanità genuina (al pari di quanto non appaia trascendente), la Poppins, che valica il tempo e lo spazio. Oltre ad avere maggiore diritto di cittadinanza nel fare e nel sentire comune.
Quando ce n’è bisogno, ognuno, dentro sé, ne dovrebbe possedere una “riproduzione”.
L’Inventiva come il “Sale della Vita”.
Nonchè quale stimolo a rapportarsi con più efficacia e serenità verso il prossimo.
Perché, a dircela tutta, nonostante nel finale il film sembra chiedersi: “Chissà dove potrà portarmi?!“, la FANTASIA non deve necessariamente scendere dal cielo.
Così come per cambiare le cose, a volte, non è nemmeno necessario spostare indietro le lancette.
Basta mettere la sveglia a taluni pensieri e impostare un secco gong rispetto a certe storture.
Chissà. Magari, potremmo quantomeno ambire a essere “parzialmente perfetti sotto taluni aspetti”.