Italia spaccata in due in questa estate ormai entrata nel vivo con un Sud ustionato dalle temperature choc e un Nord devastato da tempeste tropicali e alluvioni.
Il contrasto tra le due realtà territoriali si esprime ad ampio raggio in tutti gli aspetti dell’esistente dei cittadini italiani che vivono ancora oggi una disparità di trattamento e di aspettative di vita legata esclusivamente al caso fortuito di dove si nasce.
E così crescono, anzi si dilatano le differenze tra Nord e Sud del Paese.
Ai fatti corrisponde anche una rlevazione statistica di Demoskopika scondo la quale l’indice del divario economico e sociale è particolarmente significativo in alcuni ambiti con effetti chiaramente negativi, quali reddito, sanità, speranza di vita e povertà; un po’ meglio sono gli indicatori del lavoro.
Il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, evidenzia quanto sia importante “costruire un’autonomia consapevole piuttosto che differenziata o, peggio ancora, gridata. Altrimenti c’è il concreto rischio di una guerra civile psicologica e dell’acuirsi di un devastante scontro ideologico tra Nord e Mezzogiorno del paese”.
E mentre il 2023 sembrava avesse finalmente favorito l’accelerazione del Pil del Mezzogiorno, per gli indicatori che ruotano intorno ad occupazione, disoccupazione, reddito disponibile familiare, speranza di vita, sanità, ricchezza pro-capite e povertà è stato, invece, l’anno di massima distanza tra territori, non solo percepita ma realisticamente verificata dati alla mano.
A incidere in modo rilevante sull’andamento consistente della forbice del divario sono così 4 indicatori:
– reddito disponibile familiare,
– speranza di vita,
– sanità,
– ricchezza pro-capite, senza considerare l’effetto boomerang dell’aumentato rischio di povertà che impatta sempre sul Sud in modo nettamente negativo.
Per il Presidente Rio, invertire la tendenza si può ma va garantito “equo accesso ai servizi essenziali per tutti i cittadini, con tanto di definizione, a monte e non a valle, dei livelli essenziali delle prestazioni e della necessaria copertura finanziaria”, insomma scelte oculate e politicamente, nonchè economicamente inverse per non dire distanti anni luce dall’attuale forza di governo del paese.
Le politiche “economiche e sociali dovrebbero concentrarsi su due aree chiave: da un lato, il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione pubblica, il che implica una riforma della governance degli interventi statali, un significativo miglioramento delle risorse umane e tecnologiche della pubblica amministrazione e un forte orientamento verso il raggiungimento degli obiettivi, supportato da sistemi di incentivazione. E, dall’altro, è cruciale potenziare l’iniziativa privata riducendo i deficit infrastrutturali nel Mezzogiorno”.
Eppure la politica sembra molto più interessata a sottolineare e favorire le differenze tra territori in modo che il divario divenga la normalità in una logica individualista e non comunitaria del benessere e dei servizi per i cittadini.
Un welfare non più degno di questo nome, laddove alcune regioni ricche potranno offrire davvero welfare e altre non solo non saranno in grado di offrirlo, per problemi infrastrutturali e di crescita reale nel breve, ma rappresenteranno esse stesse un ostacolo al raggiungimento di un vantaggio di cure – se si pensa ad esempio al settore sanitario – che sarà precluso solo in virtù del criterio di rsidenza.
Ma nascere in una regione non può voler dire avere un vantaggio o uno svantaggio, in termini di salute, di condizioni di vita, di ricchezza pro capite, di emarginazione, di disoccupazione, a seconda del sorteggio che la vita fa solo per un gioco del destino.
Eppure, la volontà politica sembra rivolta proprio ad aggravare il divario anziché a porvi riparo.
Particolarmente incisiva la differenza del reddito disponibile familiare in cui il valore reddituale medio è passato dai 12.969 euro del 2013 ai 16.916 euro del 2023, mostrando un incremento delle disparità economiche pari ad un +30,4%, insomma numeri significativi per una famiglia media.
E anche per la speranza di vita, il Mezzogiorno perde cinque mesi di longevità rispetto al Nord. Nel 2023, la speranza di vita è di 83,6 anni nel Nord e 82,1 anni nel Mezzogiorno, con un divario di 1,6 anni (che nel 2013, era di 1,1 anni). Si vive meno e si vive peggio…e si vuole peggiorare la situazione. L’esimente politica è la volontà di responsabilizzare i governi regionali, ma l’effetto domino precipita tutto sui cittadini, incolpevoli.
Nodo spinoso, oggetto di dibattito politico, toccato direttamente dalla riforma sull’ autonomia differenziata è l’ambito della sanità come se il covid non ci avesse insegnato nulla e non ci avesse dimostrato il valore essenziale di un libero accesso alla sanità pubblica, un vanto nel mondo sia in termini di eccellenza delle prestazioni che delle eguali possibilità concesse ai cittadini a prescindere dalla propria capacità reddituale e dalla regione di appartenenza.
La sanità pubblica come la scuola pubblica restano baluardo di civiltà, conquista di uguali libertà, segno di pari opportunità senza guardare al portafoglio e alle conoscenze…e invece, si punta al privato anche in questi che sono stati sempre settori di eccellenza nazionale italiana…
Demoskopika evidenzia che gli investimenti e la qualità dei servizi sanitari sono maggiori nel Nord rispetto al Mezzogiorno. Nel 2022 (ultimo dato disponibile provvisorio), il divario ha raggiunto 68,3 punti rispetto ai 57,2 punti del 2017, indicando una crescente disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi sanitari.
Insomma, numeri da paura se li contestualizziamo non in un’indagine demoscopica di rilevanza statistica, ma nella vita dei cittadini che non hanno accesso come è giusto che sia ai servizi essenziali come la Carta Costituzionale dichiarava nei suoi intenti liberali, egualitari e democratici nel dopoguerra.
E alla voce della povertà il bilancio si ribalta. Nel 2023, sono quasi 4 milioni le persone a rischio povertà in più nel Mezzogiorno rispetto alle realtà settentrionali: in particolare, 6,7 milioni al Sud a fronte dei poco più di 2,7 milioni al Nord.
Le cronache sono ormai piene di storie tristi di famiglie abbandonate al loro destino di povertà ed emarginazione sociale a cui non è semplice tendere una mano, perchè se lo Stato non c’è, se lo Stato latita, le opportunità si trasformano in delinquenza anche minorile, le possibilità di riscatto divengono dispersione scolastica, le abilità di ciascuno divengono terra arida incolta, sopraffatta dall’inettitudine, le necessità esistenziali conducono diritte all’associazione camorristica, mafiosa, perchè il ricatto politico è lascarli indietro…abbandonarli in mare…dimenticarli…far finta che non esistano perchè non producono, non entrano nelle statistiche, non contano e forse non votano perchè la speranza di vivere in modo dignitoso non c’è…
Un’Italia democratica e specchio della sua Costituzione che è la sua carta d’identità e, nello stesso tempo, la sua garanzia di un riconoscimento dei diritti essenziali uguali per tutti e a tutti rivolti in modo identico, non può permettersi questi dati, deve combatterli e operare perché tutti possano raggiungere l’eccellenza il che significa non chiudere le scuole, non inibire accessi a reparti di avanguardia, contatti con medici e cure rivoluzionarie, non eliminare la speranza e la condivisione della comunità di modo che non si debba vivere in un’Italia spaccata in due dove in base alla casualità puramente territoriale e alla fortuna personale di essere incasellato come ricco o povero, giovane o anziano, straniero o autoctono, si possa misurare la dignità dell’esistenza di un italiano o di un’italiana del Nord o del Sud!