In un piccolo angolo di Napoli situato tra quello che un tempo era il porto (quando il mare arrivava fino alle mura della dalla città), e il vicolo di Santa Maria la Nova. Secondo alcuni è il vicolo più stretto della città partenopea, ed è Vico cerriglio dove si trova l’omonima locanda . Se pur non esistano certezze, alcuni fanno risalire la sua apertura al XIV secolo, periodo in cui Roberto D’Angiò, il re saggio, governava la città. Per secoli il locale continuò a servire buon cibo e vino, ad una svariata platea di avventori, popolani, bari, marinai, soldati, prostitute a caccia di clienti e, nobili annoiati alla ricerca di sensazioni forti, tanto da attirare un gran numero di artisti che iniziarono a frequentare la taverna non solo per il cibo e il vino, ma soprattutto per trovare una preziosa fonte di ispirazione .Il più celebre tra questi artisti fu senza dubbio un certo Michelangelo Merisi, meglio noto come il Caravaggio. Caravaggio che grazie al sapiente uso del chiaroscuro riusciva ad imprimere estrema drammaticità alle proprie opere. Un animo inquieto il suo, in cui si fondevano genio e sregolatezza: sempre pronto ad accalorarsi e a menar le mani. Inclinazione che lo spinse ad atti di estrema violenza, che culminarono con l’omicidio per futili motivi di Ranuccio Tomassoni (allora si diceva per una futile lite dopo una partita di pallacorda, o per un regolamento di conti fra due protettori di prostitute) avvenuto nel 1606 in seguito ad un’accesa discussione. Non dovrebbe quindi stupire che, pochi anni dopo, nel 1609, il Merisi una notte d’ottobre, uscendo dalla Locanda del Cerriglio fu picchiato da quattro uomini che lo sfregiarono al volto con un coltello. Lo picchiarono con una tale brutalità da far credere, inizialmente, che Caravaggio fosse morto, ovviamente gli aggressori sparirono nel nulla. Ancora oggi non si conoscono le motivazioni che spinsero questi loschi figuri ad assalire Caravaggio, ma si parla di un insulto d’onore. Una tragedia per il Caravaggio, ma per la locanda fu la nascita di un mito Un mito però che purtroppo si spezzò nella seconda metà dell’Ottocento, quando, al termine di un lungo declino, durante il risanamento di Napoli (intervento urbanistico seguito a una grave epidemia di colera) quello che era stato un posto a suo modo glorioso finì col diventare un anonimo deposito. Fu necessario attendere il 2014 perchè un coraggioso imprenditore, Giuseppe Follari, coadiuvato dalla moglie, avendo compreso il suo reale valore, lo riportasse in vita attraverso una laboriosa opera di restauro.