Sarà l’aria della stagione estiva ma arriva puntuale e inevitabile la tiritera, come ogni anno, in prossimità delle vacanze, degli imprenditori e delle associazioni datoriali che denunciano la mancanza di disponibilità di personale da utilizzare per far fronte all’incremento di lavoro previsto per il periodo maggio-settembre.
L’estate 2022 si presuppone particolarmente affollata e dinamica, anche con arrivi dall’estero, ormai messi in cantina negli ultimi anni e ritornati a rimpinguare le scarne casse dei ristoratori e albergatori italiani che non hanno fatto che lamentarsi in epoca covid della mancanza di tedeschi, americani e russi (dubito sulla loro presenza anche questa estate!) pronti a pagare laute mance per i servizi ricevuti rispetto ai tirchi italiani.
Le accuse degli imprenditori muovono dalle scelte politiche come la sussistenza garantita senza lavorare dal reddito di cittadinanza e dagli ammortizzatori sociali messi in atto in questi anni di pandemia alla “sfaticatezza” dei ragazzi che non sono disponibili a lavorare in quei settori da sempre rivolti ad una platea di operatori particolarmente giovani e quindi più flessibili su orari e limitazioni di libertà.
I Borghese e Briatore di turno lamentano di non trovare soprattutto tra i più giovani chi sia disponibile a lavorare in sala e in cucina, anche con stipendio dignitoso e contratti a tempo determinato con tanto di garanzie…i giovani di oggi, forse anche perchè esausti dalla crisi post covid, hanno aumentato le loro aspettative e alzato l’asticella delle ambizioni personali per cui non vogliono trascorrere intere settimane nei ristoranti a servire, nei lidi a fare i bagnini o negli alberghi a pulire le camere né rinunciare al weekend libero o al tempo libero che, si sa bene, per queste categorie di lavoratori sono particolarmente sacrificati.
Mentre gli altri sono in vacanza, camerieri, bagnini, chef, maître, receptionist, animatori, devono essere a lavoro e soddisfare una clientela sempre più esigente, variegata e piena di richieste e pretese per trascorrere finalmente una vacanza da covid!
Se è pur vero che tra i giovani c’è maggiore refrattarietà al sacrificio, forse anche a causa della reclusione vissuta a causa dei lockdown ripetuti e delle restrizioni esistenziali per la pandemia, probabilmente esiste anche un immenso sommerso del lavoro ovvero del super lavoro da fare, su cui non può non aprirsi una riflessione, soprattutto in questi periodi dell’anno per cui a conti fatti i ragazzi preferiscono rinunciarvi.
Non può non negarsi che la mancanza di tutele, l’idea di affrontare turni massacranti senza sosta h24 senza percepire straordinari, contrattualizzati con numero di ore risicate a fronte di molte svolte a nero, la mancata valorizzazione della dignità delle persone attraverso il lavoro, sono spie di allarme fortissime per i giovani millennials che, probabilmente, più attenti, esigenti e previdenti, guardano al mondo del lavoro con più diffidenza, dedicando più attenzione al proprio benessere e rinunciando lavori al limite della sopportabilità.
Se guardiamo i dati forniti dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nei comparti della ristorazione e dell’alloggio si verificano tassi di irregolarità vertiginosi, superiori al 70%, e il turismo è proprio il settore dove si concentrano il maggior numero di violazioni.
Allora per sedare la polemica ridotta alla banalità che i giovani non vogliono lavorare bisognerebbe che non solo gli imprenditori, ma lo Stato in primis guardi con maggiore attenzione e interventi normativi opportuni rivolti alla schiera infinita di sfruttati, centinaia di migliaia di persone che lavorano, ogni anno, nella filiera turistica e della cultura che andrebbero valorizzati e premiati in una nazione come la nostra in cui i due settori or ora citati rappresentano una quota parte consistente del pil nazionale e che, invece, dopo più di un anno senza occupazione, in piena epoca pandemica, si ritrovano forse ad usufruire di un ammortizzatore sociale ovvero, in mancanza di sostegni statali, si sono dovuti accontentare di fare altro : “camerieri, baristi, receptionist, custodi, cameriere ai piani, cuochi, ai quali vengono imposte forme di lavoro irregolari o in nero e condizioni di lavoro insostenibili, in termini salariali, di diritti e tutele e sul versante della salute e della sicurezza (all’ordine del giorno, turni di lavoro più lunghi rispetto a quanto attestato in busta paga, anche il doppio rispetto alle ore dichiarate, ferie non pagate, riposi non concessi)” rimarca la Filcams CGIL Nazionale, la categoria della CGIL che si occupa del settore specifico che ha denunciato anche quest’anno lo stato di fatto della situazione, consegnando una fotografia realistica e avvilente della realtà lavorativa italiana.
Se poi esistono degli imprenditori che dichiarano apertamente strategie di assunzione per evitare di avere fastidiose incombenze contrattuali o tollerare assenze prolungate per permettere ad una donna di mettere su famiglia, allora siamo alla frutta…e siamo molto molto indietro nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori e, ancor più, delle lavoratrici.
Una nota stilista italiana, intervistata in un evento di moda da una giornalista de Il Foglio, si è lasciata andare ad una serie di dichiarazioni che hanno alzato un polverone enorme sulla presenza e la collocazione delle donne nel mondo che conta delle aziende multinazionali e dell’imprenditoria.
Elisabetta Franchi, a capo dell’omonima casa di moda, alla domanda su come si regolasse per l’assunzione delle quote rosa in azienda ha lanciato la sua trovata brillante, ma meglio riportare pedissequamente le sue parole, in modo da comprendere appieno il suo pensiero.
La discussione ruotava principalmente sulla difficoltà che devono affrontare le madri lavoratrici, uno dei temi cardine degli incontri svoltisi in prossimità della Festa della Mamma.
La sua posizione al riguardo non ha mirato al crollo del cosiddetto “vetro di cristallo”, ovvero del sistema che ostacola la carriera delle donne all’interno delle realtà aziendali, costringendole spesso a mansioni e ruoli secondari, ma hanno spaziato su tutto quello che riguarda la figura femminile all’interno del mondo del lavoro, lasciando i presenti e i followers sui social esterrefatti e scatenando un’ondata di indignazione che stenta ad arrestarsi.
All’affermazione della giornalista “Perchè una donna non viene aiutata…” che cercava di salvare il salvabile, l’imprenditrice non ha rettificato di un solo punto il suo ragionamento e chiedendole anche come lei stessa avesse fatto a fare carriera, dato che è madre di due figli, la stessa ha dichiarato stentorea di essere ritornata a lavoro dopo due giorni dal parto cesareo!
L’imprenditrice di moda ha fatto di più quando ha rivelato la variabile preminente utilizzata nella selezione delle sue collaboratrici, ossia l’età laddove la spara grossa dicendo “Intanto va fatta una premessa perchè io oggi le donne le ho messe ma sono ‘anta’, superano una certa età. Anche questo è un elemento da tenere in considerazione, va detto ed è inutile nasconderlo – e prosegue – queste donne se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti e se volevano separarsi hanno già fatto anche quello. Quindi diciamo che io le prendo quando hanno già fatto tutti i giri di boa e sono lì belle tranquille con me al mio fianco e lavorano h24” aggiungendo, infine, che “questo è importante, un problema che gli uomini invece non hanno”
Apriti cielo!
Le parole hanno sconvolto e inorridito chi le ha sentite o lette e non per ipocrisia rispetto alla descrizione di una situazione nota e arcinota che molti (di coloro che dovrebbero intervenire con normative più certe e maggiori tutele previdenziali e assistenziali di welfare per le famiglie) fanno finta di non vedere e restano inermi dall’intervenire, quanto perchè la sua discriminazione esplicita nella decisione di assumere tra donne e uomini non trova alcuna giustificazione nel merito, nelle capacità, nelle qualità, nelle competenze, nelle attitudini e abilità personali, ma esclusivamente – ed è questa la distorsione di questi tempi – dalla pensione anticipata dell’utero delle donne, o dall’aver superato l’epoca degli asili nido o dall’evitare il disturbo dell’allattamento che riduce le ore di presenza ovvero della disponibilità h24 di una persona che lavora senza sosta, cosa assolutamente incostituzionale e illegittima.
Le competenze e il valore professionale delle donne ma anche degli uomini non vanno commisurate più alle qualità personali e alle soft e hard skills, tanto decantate dagli studiosi del settore ai fini dell’assunzione, quanto alla dedizione temporale continua e perpetua…il che taglia fuori in automatico dal mondo del lavoro centinaia di migliaia di ottime donne lavoratrici per la sola colpa di essere in procinto di fare un figlio o anche solo di desiderare di fare figli vista la difficoltà attuale anche di raggiungere il sogno della maternità in tempi brevi, come una volta.
Allora l’imprenditrice con la sua genialata ha offerto a tutti i suoi colleghi uno spunto perfetto per sotterfugi contrattuali e assunzionali, ponendosi dei paletti basati incostituzionalmente sulle scelte di vita dei lavoratori a cui si appropinqua quando la loro vetustà o maturità, essendo ormai “anta”, le esclude da un certo tipo di percorsi di vita e di impegni familiari…insomma fatto il giro di boa, sono accettabili per l’azienda.
La logica del welfare, di un lavoro che renda conciliabile la vita familiare con quella lavorativa, l’importanza di concedere spazi di autonomia e libertà in modo che il lavoro non sia totalmente assorbente e annichilente (in molte nazioni del Nord Europa ad esempio si sta puntando sulla settimana dalle 4 giornate lavorative in modo da rendere il lavoratore più libero e gratificato dalle opportunità di libertà concesse), l’idea di una qualità del lavoro decisamente più importante della quantità del lavoro, rendono le parole dell’imprenditrice talmente gravi per il significato “in”significante in se e per la consolidata abitudine di procedere nelle linee assunzionali apertamente discriminatorie e violative di ogni forma di diritti e dignità dei lavoratori soprattutto in base al fatto che legalmente in Italia è vietata qualsiasi discriminazione nell’accesso al lavoro in riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità e paternità, naturali e adottive ovviamente, per i meccanismi di preselezione diretta e indiretta.
Alla polemica esplosa, l’imprenditrice si è difesa affermando che “l‘80% della mia azienda sono quote rosa, di cui il 75% giovani donne impiegate, il 5% dirigenti e manager donne. Il restante 20% sono uomini di cui il 5% manager. C’è stato un grande fraintendimento per quello che sta girando sul web, strumentalizzando le parole dette. La mia azienda oggi è una realtà quasi completamente al femminile. L’oggetto di discussione dell’evento a cui ho partecipato è la ricerca di Price Donne e Moda, da cui è emerso che nella realtà odierna le donne non ricoprono cariche importanti. Perché? Purtroppo, al contrario di altri Paesi, è emerso che lo Stato italiano è ancora abbastanza assente, mancando le strutture e gli aiuti, le donne si trovano a dover affrontare una scelta tra famiglia e carriera. Come ho sottolineato, avere una famiglia è un sacrosanto diritto. Chi riesce a conciliare famiglia e carriera è comunque sottoposta a enormi sacrifici, esattamente quello che ho dovuto fare io”. Insomma, tutta colpa dello Stato se la datrice deve rinunciare ad una forza lavoro giovane e potenzialmente feconda!!!!!
Chissà cosa avranno pensato le sue “anta” ormai giunte ai giri di boa! Saranno ancora disponibili a lavorare senza orari ora che conoscono gli obiettivi palesi di sfruttamento del loro capo?
Viene da chiedersi in una Italia così perennemente in difficoltà per gestire un mondo del lavoro, indisciplinato, poco normato, quasi anarchico in regole e orari, in assenza di qualsivoglia forma di tutele anche quelle più basilari, con una conta dei morti che fa rabbrividire, ogni anno di più, chiuso e selettivo in base a criteri non qualificanti né oggettivi, spesso sottopagato e sfruttato, ben vengano allora le rinunce sempre più insistenti e frequenti dei più giovani che, a mo’ di protesta e di mobilitazione per la sensibilità civica rispetto alle tematiche sul lavoro, avanzano pretese di dignità e riconoscimento di tutti i diritti compresa una equa retribuzione.
L’argomento è divenuto particolarmente importante nel dibattito politico, tanto che in occasione del primo maggio il Presidente Mattarella ha messo in fila uno dopo l’altro concetti fondamentali e ha toccato le corde morali e emozionali legate alle disgrazie sul lavoro susseguitesi negli ultimi tempi che ha definito un vero flagello per le famiglie colpite laddove ha ribadito “l’inaccettabilità, soprattutto per i giovani, di dover associare la prospettiva del lavoro con la dimensione della morte – e continua – la sicurezza sula lavoro e l’integrità della persona è parte essenziale del nostro patto costituzionale“.
E così il Capo dello Stato ribadisce l’importanza della partecipazione di tutti alla crescita del paese e alla promozione della cultura del lavoro senza “lasciare indietro nessuno, costruire, con i nuovi lavori, anche un welfare rinnovato, sempre più vicino alla persona, al bisogno di sostegno, cura e assistenza. Procedere con decisione sulla strada degli investimenti nella formazione, nella scuola, nella ricerca, nella cultura. Alla Repubblica serve il lavoro di tutte e di tutti. Di donne, di giovani, di ogni parte d’Italia. Ognuno deve fare la propria parte per allargare la base del lavoro: le istituzioni anzitutto, ma con loro le grandi aziende, le piccole e medie imprese, i sindacati, il Terzo settore, i professionisti, la vasta e plurale realtà del lavoro dipendente e di quello autonomo“.
Persino Mattarella ha sussurrato, con una settimana di anticipo certo, all’imprenditrice che è la mentalità becera sua e di altri datori come lei che va cambiata e sradicata, una mentalità vetusta e molto ma molto più “anta” delle sue stesse lavoratrici!!!!