Gli scrittori sono artisti ed in quanto tali sono eclettici, spesso un po’ pazzi. Nei loro lavori trapela tutto ciò ciò che provano: l’ironia, l’amore, ma anche i loro tormenti, i fantasmi che li inseguono senza tregua, le frustrazioni, le delusioni. Hanno una sensibilità particolare, cercando di esorcizzare il loro male e senso di inadeguatezza mettendo nero su bianco i tormenti. C’è chi conduce una vita tranquilla, tra gli affetti ed i successi, ma c’è anche chi non ce la fa più. La scrittura non basta a placare l’animo in subbuglio, la penna non riesce a porre fine al dolore. Ci sono grandi scrittori che il punto non l’hanno posto solo a fine frase per poi continuare, l’hanno messo per sempre per terminare il più grande romanzo mai vissuto: la loro stessa vita. I loro nomi sono indimenticabili e la loro memoria vivrà per sempre tra le pagine di ciò che hanno scritto e nelle menti di chi le leggerà.
Virginia Woolf
Nasce a Londra il 25 gennaio 1882. Considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità dei diritti tra i due sessi. Le sue opere più famose comprendono i romanzi La signora Dalloway, Gita al faro e Orlando. Soffriva di crisi depressive ed amava circondarsi di persone, ma quando era sola ricadeva nello stato d’ansia e di sbalzi d’umore tipico della malattia. A contribuire all’aumento delle sue fobie fu il procedere della guerra. Infine il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume, non lontano da casa, lasciando una toccante nota al marito.
Sylvia Plath
La poetessa a scrittrice statunitense nacque a Boston il 27 ottobre del 1932 soffrì durante tutta la sua vita adulta di una grave forma di depressione alternata a periodi di intensa vitalità, al penultimo anno di college tentò il suo primo suicidio. Dopo la separazione dal marito ed un periodo apparentemente felice di rinascita, l’11 febbraio del 1963 Sylvia si tolse la vita: sigillò porte e finestre ed inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto l’ultima poesia intitolata Orlo ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini. Secondo studiosi, in realtà non aveva intenzione di uccidersi, ma soltanto di rivolgere all’esterno un’estrema richiesta d’aiuto; ella sapeva, infatti, che quella mattina sarebbe passata in visita una ragazza australiana, e aveva lasciato inoltre un biglietto con scritto un numero di telefono del suo medico, e le parole: “Per favore chiamate il dottor…”.
Ernest Hemingway
Nasce il 21 luglio 1899 in un sobborgo di Chicago, scrittore e cronista, desideroso di partecipare alla prima guerra mondiale, ma fu escluso dai reparti combattenti a causa di un difetto alla vista, venne arruolato nei servizi di autoambulanza come autista e successivamente come assistente di trincea. Furono numerosi gli incidenti occorsogli nella sua vita in buona misura conseguenti al suo voler vivere sempre esperienze limite, come quelle della guerra o di altre situazioni estreme nelle quali “mettersi alla prova”. D’altra parte vi sono almeno tre aspetti del suo carattere emersi sin dall’adolescenza e sottolineati dagli studiosi: il narcisismo, l’amore per le situazioni di pericolo e il senso della morte. Nel 1957 Hemingway iniziò a soffrire di crisi maniaco-depressive, che lo facevano sospettare di tutto e di tutti e gli provocavano grandi vuoti di memoria, fu ricoverato e sottoposto a numerosi elettroshock. Il 2 luglio 1961 la moglie Mary fu svegliata da un forte colpo: Hemingway si era sparato mettendosi la canna del fucile in bocca ed era morto.
Cesare Pavese
Nato in un paesino delle Langhe il 9 settembre 1908, è stato scrittore, poeta, traduttore, saggista e critico letterario. Al liceo, scosso profondamente dalla tragica morte di un suo compagno di classe che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella, Pavese ebbe la tentazione di emulare quel gesto, la depressione era dietro l’angolo. Dopo una vita intensissima, fatta di lotte partigiane, scritture febbrili, studio ed incontri amorosi, in preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Costance Dowling, mise prematuramente fine alla sua vita il 26 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «Ho cercato me stesso». Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo.
Primo Levi
Torino gli diede i natali il 31 luglio 1919. Arrestato dai nazifascisti in venendo prima mandato in un campo di raccolta di tutti gli ebrei e successivamente, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Scampato al lager, tornò avventurosamente in Italia, dove si dedicò con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite attraverso Se questo è un uomo e La tregua. Venne trovato morto l’11 aprile 1987 alla base della tromba delle scale della propria casa a seguito di una caduta: rimane il dubbio se la caduta, che ne ha provocato la morte, sia dovuta a cause accidentali o se sia stato un suicidio. Questa ipotesi appare avvalorata dalla difficile situazione personale di Levi, che si era fatto carico della madre e della suocera malate. Il pensiero e il ricordo del lager avrebbero, inoltre, continuato a tormentare Levi anche decenni dopo la liberazione, sicché egli sarebbe in un qualche modo una vittima ritardata della detenzione in Polonia.
David Foster Wallace
Statunitense nato il 21 febbraio del 1962. Fu scrittore eclettico, geniale e di grande talento, autore dell’epico Infinite jest in cui descrive la complessità della società contemporanea: le difficoltà nei rapporti interpersonali, l’uso delle droghe, il ruolo sempre più importante del mondo dello spettacolo, dei media e dell’intrattenimento, l’esasperata competizione sociale raccontata attraverso il tennis, sport praticato a livelli agonistici dallo stesso autore. Secondo il padre di Wallace, David soffrì di depressione per oltre vent’anni e solo la cura a base di antidepressivi che seguiva gli permetteva di essere produttivo. Gli effetti collaterali dovuti ai farmaci che assumeva lo indussero, ad interrompere la terapia a base di fenelzina, con il benestare del proprio medico. La depressione si ripresentò e Wallace sperimentò altre cure, infine tornò ad assumere il farmaco, ma questo non gli faceva più effetto. Il 12 settembre 2008, a 46 anni, Wallace scrisse un messaggio di addio di due pagine, corresse parte del manoscritto di Il re pallido e si impiccò ad una trave di casa sua. Il corpo fu rinvenuto dalla moglie Karen.