Adriana Pannitteri è da molti anni conduttrice del Tg1 e ha anche pubblicato diversi libri. Tra questi: Madri assassine. Diario da Castiglione delle Stiviere (2006), Vite sospese (2007), La vita senza limiti (con Beppino Englaro, 2009) e La pazzia dimenticata. Viaggio negli ospedali psichiatrici giudiziari (2013).
Da qualche mese ha pubblicato, per i caratteri dell’editore L’Asino d’Oro, il suo primo romanzo: Cronaca di un delitto annunciato.
Incontro Adriana per saperne di più del suo esordio come autrice di romanzi, poiché in passato aveva pubblicato solo saggi o libri di taglio giornalistico.
Il titolo riecheggia in maniera palese quello di un famoso romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata, ma nel romanzo di Marquez si sapeva già dall’inizio che Santiago sarebbe morto mentre nel romanzo di Adriana le cose sono più nascoste e l’epilogo della storia emerge più lentamente all’interno della narrazione.
Adriana, la protagonista del tuo romanzo è una giovane giornalista, Maria Grazia, quanto c’è di Adriana Pannitteri in questo personaggio?
Il romanzo, in realtà, si muove su più profili. C’è il protagonista maschile che è un ex-carabiniere e c’è una giornalista, Maria Grazia, che inizia a ricevere una serie di lettere da questo ex-carabiniere e sicuramente c’è un po’ di Adriana. D’altronde qualche sassolino dalla scarpa me lo posso togliere solamente così, con il romanzo.
Poi ci sono tanti altri personaggi, anche un po’ sinistri, io ho fatto l’inviata di cronaca per molti anni e quindi ho proiettato nel romanzo alcuni incontri che mi è capitato di fare. Si fanno davvero strani incontri quando si lavora come inviata di cronaca. Dietro ai personaggi del mio romanzo, dunque, s’incontrano anche figure vere.
Insomma, nel romanzo hai potuto raccontare liberamente quello che spesso nel tuo lavoro di saggista e giornalista, hai dovuto tacere?
Senza dubbio nel romanzo c’è una grande libertà. Già il fatto che si chiami romanzo vuol dire che possiamo allontanarci in qualche modo dalla realtà, la possiamo mistificare, la possiamo trasformare e anche piegare alle nostre necessità narrative. Allontanandomi dalla saggistica, mi sono certamente sentita più libera e mi sono anche divertita.
Cronaca di un delitto annunciato racconta la storia di un uomo che è o viene avvertito come un “mostro”. Ma chi è oggi “il mostro”?
Il personaggio del mio romanzo percepisce se stesso come un “mostro”. Il “mostro” è, in questo caso, un uomo che è stato abbandonato e che per la propria fragilità sceglie, come purtroppo accade, un esito fatale. Perché spesso gli uomini sono incapaci di relazionarsi con l’altra e con l’altro. Questo “mostro” è figlio della solitudine e dell’incapacità degli uomini di relazionarsi alle dinamiche del mondo femminile. Un tempo si stava insieme, uomini e donne, anche se non ci si sopportava. Adesso, le donne hanno raggiunto una maggiore emancipazione e quest’emancipazione, cioè l’acquisizione di un’identità più forte, ha messo in crisi l’uomo e in alcuni casi ha prodotto situazioni molto difficili. Questa ovviamente non è una giustificazione per l’uomo, per “il mostro”, ma è il segnale che c’è bisogno di un’educazione sentimentale che ricostruisca alla base il rapporto tra le persone.
A proposito di sentimenti, questo Paese, secondo te, è un Paese attento alle urgenze della comunità lgbt? L’Italia è un Paese più omofobo o più sessuofobico?
Con le Unioni Civili è stato fatto un passo molto importante in questo Paese. Certo, questo resta un argomento ancora difficile, io conosco ragazzi che hanno dichiarato la loro omosessualità e non sono stati accettati dai loro genitori. La mentalità deve ancora evolversi. A me sembra che l’Italia sia nel complesso un Paese abbastanza immaturo proprio nella gestione dei rapporti tra le persone e nella valutazione delle persone stesse. È un Paese pieno di luoghi comuni per cui a volte è omofobo e altre neppure si capisce dove vuole arrivare. E anche noi giornalisti dovremmo fare il nostro Mea Culpa quando utilizziamo certe espressioni in maniera scorretta o quando raccontiamo delle storie senza entrare davvero nel percorso umano ed emotivo delle persone. Direi che in Italia, dovremmo fare tutti uno sforzo per essere meno superficiali e andare più in profondità.