Pat Metheny, in un’intervista del 1989: “Sono diventato musicista perché sono stato un fan”.
Parole sante. Il fatto è che tutti noi musicisti, agli inizi come durante il percorso personale, siamo stati fan di qualcuno ma, soprattutto, di qualcuno che ci regalasse emozioni indimenticabili in musica. Per quanto mi riguarda, mi è successo a partire dalla seconda metà anni 60 ascoltando “Hello Goodbye” dei Beatles, “A whiter shade of pale” dei Procol Harum, tutto “Nursery Cryme” dei Genesis, “Kind of blue” di Miles, “Heavy Weather” dei Weather Report, “Pat Metheny Group” del PMG, “Extensions” dei Manhattan Transfer.
Una volta divenuto fan dei sopracitati artisti scattò man mano in me la fase del tentativo di emulazione, vale a dire: “Azz, sti pezzi so proprio bellissimi, aggia pruvà a imparare a suonarli tale e quale!”. Emulando emulando, provando e riprovando, previo interminabili esercizi sullo strumento e avendo nel frattempo sviluppato un certo orecchio musicale, alla fine i pezzi finalmente uscivano con grande soddisfazione mia e dei miei genitori che li ascoltavano. Ecco, seconda fase: l’ascolto altrui.
Dopo alcuni anni passati ad incamerare melodie ed armonie da svariate provenienze musicali a mo di spugna e a riprodurle o almeno provarci, iniziò dentro di me a farsi largo un venticello insistente che soffiando sempre più forte mi diceva: dovresti provare a far ascoltare quello che fai ad un pubblico più numeroso.
E’ chiaro che tutto ciò che ho raccontato finora come mia vicenda personale è ovviamente accaduto anche ai più grandi nomi della musica e della canzone nazionale e internazionale e cioè, per restare a casa nostra: i fratelli Bennato, Pino Daniele, James Senese & Napoli Centrale, Tullio de Piscopo, Alan Sorrenti, Edoardo de Crescenzo, Teresa de Sio, NCCP, Toni Esposito, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Ernesto Vitolo, Gigi de Rienzo e tanti altri colleghi sicuramente non meno capaci dei suddetti artisti ma soltanto meno fortunati e in alcuni casi meno capa tosta nel perseguire i loro obiettivi.
Ora, il grande pubblico è abituato fin dai tempi dei primissimi festival di Sanremo teletrasmessi dalla Rai a veder comparire in scena artisti e cantanti, ascoltarli per i canonici 3-4 minuti durante la loro esibizione e poi esprimere il suo giudizio, dopodiché per la gente tutto finisce lì. Ma non per gli artisti.
L’artista a un certo punto fa una scelta, sempre dettata dalla passione per la forma d’arte in cui crede: o decide di farlo per mestiere, accollandosi tutti i rischi del caso, oppure di farlo unicamente per passione abbinando l’attività artistica ad un’altra attività economicamente più “sicura”. Ma non si ha assolutamente idea di quanto il percorso di un artista che decida di fare arte per mestiere possa essere accidentato e irto di difficoltà dall’inizio alla fine, specie in un paese come l’Italia che si è sempre professato “culla dell’arte” ma specie negli ultimi decenni solo a parole; e specie se il percorso artistico va di pari passo con un percorso complicato e problematico a livello personale, familiare, sentimentale, economico e di relazioni sociali. A questo proposito il caso di Pino Daniele(famiglia numerosa e povera, cresciuto presso le zie per impossibilità paterna nel mantenere tutti, carattere scorbutico, gravi problemi di salute fin dall’adolescenza acuitisi poi durante gli anni ma grandissima perseveranza e capa tosta nell’andare avanti per la sua luminosa strada artistica) è emblematico anche se per certi versi possiamo considerarlo un caso limite.
Si ha ancora meno idea, inoltre, del percorso oserei dire proibitivo di un artista che svolge comunque la sua attività per mestiere ma che non ha avuto la stessa fortuna toccata a colleghi più famosi. A cavallo tra anni ’80 e ’90 come ricorderete ci fu il boom degli spazi per la live music per cui parecchi musicisti ogni mese portavano a casa una somma corrispondente più o meno a uno stipendio statale. Ma andando avanti negli anni tutti quegli spazi si sono man mano ridotti di numero fin quasi a sparire e il malcapitato artista per mestiere si è via via visto costretto ad arrangiarsi con le lezioni private(per chi ha l’abilitazione all’insegnamento ed ha ancora un ruolo precario nella pubblica istruzione) o nel peggiore dei casi a tenersi buoni quei due(!) gestori di locali che gli garantivano la serata mensile. Questo prima del Covid19 che ha azzerato qualunque velleità di live music nei locali e anche ridotto il numero degli allievi disposti ancora ad apprendere nozioni sul proprio strumento musicale.
Quindi, signori cari, io posso pure essere d’accordo con voi in certi casi sulle solite storie degli artisti o musicisti dalla vita dissoluta, dediti ad alcool, sostanze stupefacenti, stravizi, comportamenti irresponsabili e quant’altro. Ma ogni tanto sforziamoci pure di capire che alle volte dietro questi comportamenti irresponsabili esiste un vissuto fatto, come dicevo prima, di percorsi personali, familiari, sentimentali, artistici, economici complicatissimi e di problematica gestione e soluzione. E ricordiamocene quando si tratta di giudicare, che si parli di un artista o di chiunque altro, e non solo di applaudire o esprimere consenso quando quell’artista ci comunica emozioni e buone vibrazioni. Ricordiamocene!