L’Arte, all’ombra del Vesuvio, nel corso del tempo, si è declinata in tutti i modi nei quali essa poteva trovare espressione. Quanto asserito, del resto, è facilmente constatabile da chiunque nell’Architettura, nella Musica, nella Letteratura, nel Teatro fino ad arrivare al Cinema. A tutto ciò, senza dubbio, vi è da aggiungere un altro ambito che, a buon diritto – anche se i più snob, magari, storceranno il naso – può trovare posto a sedere tra le arti, ed è quello culinario. Parliamoci chiaro, sappiamo tutti che, a Napoli, la Cucina non è solo un mezzo necessario per avere sostentamento, ma è un’esperienza per il palato e per i sensi. Non è un caso che, a partire dalla fine dell’Ottocento e durante tutto l’arco del secolo passato, siano nate pizzerie, pasticcerie, ristoranti che si sono fuse, come parte integrante, nella storia e nell’anima della città. Voi riuscireste mai ad immaginare una Napoli senza attività, tramandatesi di generazione in generazione, come – solo per citare le più rappresentative e senza offesa per nessuno – Da Michele, Starita, Di Matteo, Sorbillo, Brandi, da Nennella, Concettina ai Tre Santi e poi, ancora, Poppella, Scaturchio e il Gambrinus? La risposta, evidentemente, è no! Eppure, dobbiamo prendere atto, però, di una notizia triste, in quanto è arrivata l’ufficialità definitiva riguardo al fatto che dovremo abituarci all’idea di una città senza uno dei sue storici ristoranti, Ciro a Santa Brigida.
Come si apprende dal blog lucianopignataro.it, la conferma sulla chiusura è arrivata dallo stesso titolare, Antonio Pace, il quale ha dichiarato quanto segue: “Ormai non si poteva andare avanti, l’età incalza davvero e la nuova generazione ha altre ambizioni”. Secondo quanto si legge sul sito di Pignataro, a quanto pare, sarebbero in corso delle trattative per riaprire l’attività di ristorazione da parte di altri, ma ciò, nei fatti, non toglie che sarà definitivamente interrotta la consegna generazionale del testimone. Dopo 84 anni, quindi, è un pezzo di storia che se ne va. Era, infatti, il 1935, quando Don Carmine Pace e i figli Ciro, Vincenzo e Nunzia si spostarono dalla storica sede di via Foria, chiamata Partenope, dal nome di un teatro della zona, per quella nuova, appunto, in via Santa Brigida. Ma bisogna sottolineare che la loro tradizione nella pizza è ben più risalente e nasce fin dal 1850, con un “laboratorio” in piazza San Gaetano. Don Carmine Pace, detto “Carminiello a Partenope”, peraltro, fu pure l’inventore della famosissima Pizza Quattro Stagioni, nata per assecondare, con una sola pizza, i gusti di quattro persone diverse che, come era frequente all’epoca, non potevano permettersi di pagarne una intera.
Ubicato nei pressi della Galleria Umberto, Ciro a Santa Brigida è stato un ristorante pizzeria che ha saputo conciliare i piatti popolari e i sapori tradizionali con l’eleganza e la raffinatezza. Esso è stato, pertanto, la tappa privilegiata per il cosiddetto “dopoteatro”, ovvero la tavola preferita da quanti si recavano al Teatro San Carlo. Basti pensare che della sua cucina hanno potuto deliziarsi personalità illustri quali Toscanini, D’Annunzio, Pirandello, Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Totò, Sofia Loren, Ingrid Bergman.
In realtà, già in estate, nel mese di agosto, su varie testate giornalistiche, come Il Corriere del Mezzogiorno, erano emerse delle difficoltà, con i dipendenti del locale che avevano messo a punto una serrata per chiedere il pagamento di alcuni arretrati. Ovviamente, quella della chiusura o, comunque, della fine della gestione della famiglia di maestri, è una notizia che suscita grande dispiacere da parte di tutta la cittadinanza. A leggere i commenti in rete, per tanti, con tutti i ricordi che si portano dentro, sembra quasi di subire un lutto. Ma, in tal senso, è sicuramente un enorme bene che si abbiano a cuore quelli che sono gli esercizi culinari storici della città, come se fossero degli affetti diretti nella propria vita, in quanto bisogna tutelarli dalla morsa delle grandi catene commerciali senza anima e che poco hanno a che vedere con la cultura partenopea, la quale non può essere snaturata. Pasolini ammirava profondamente il capoluogo campano per la sua capacità di resistere al consumismo, di salvaguardare la sua identità dai colpi di un capitalismo che omologa le masse; anche nella cucina, persistiamo dunque su questa strada perché, se ci facciamo caso, è quella che continua ad affascinare tutto il mondo. Questo carattere totalmente sui generis è il vero oro di Napoli.
Per dirla in soldoni: oltre a proteggere i locali di lunga tradizione, facciamo sì che nascano altri Ciro a Santa Brigida piuttsoto che un ennesimo Mc Donald’s o giù di lì.