Nell’autunno del 1920 veniva pubblicato Nyarlathotep, brevissimo ma denso racconto del visionario maestro dell’orrore Howard Philip Lovecrat. Su questa figura sfuggente e controversa di scrittore, solo apparentemente di genere, assurto come pochi altri ad un successo planetario, sono stati versati, come si dice, fiume d’inchiostro. Ma soprattutto le oscure suggestioni della sua prolifica scrittura continuano a fornire ispirazione per autori di ogni tipo. Una delle più recenti è il volume Nyarlathotep, di Rotomago e Julien Noirel, da poco portato in Italia da NPE, che rilegge, con i mezzi del fumetto, l’originale storia lovecraftiana. Vicenda per altro fondamentale per il così detto “Ciclo di Chtulu.”
L’inizio del racconto ha non a caso, qualcosa di radiofonico: “Nyarlathotep… il caos strisciante… Il sono l’ultimo… Parlerò al vuoto in ascolto.” Con il chiaro intento di creare dubbi più che dare informazioni, Lovecraft presenta in pochissime parole gli unici veri personaggi della vicenda: il Nyarlathotep del titolo, immediatamente accostato al mistero (“strisciante”) e al disordine (“caos”); e quell’ Io, che quasi come un cronista trasmetterà i fatti nel vuoto dell’etere. Nonostante nessuno sia più in grado di ascoltarli. E’ difficile non vedere, in quel “nulla in ascolto” una descrizione delle masse di fronte all’ informazione mediatica.
Questa suggestione, quasi una precognizione è un possibile perno interpreativo di tutto il racconto: Nyarlathotep affascina le masse, che si inchinano di fronte a lui e alle dimostrazioni di potere che compie a beneficio di tutti. Forse è un ciarlatano, forse le sue abilità sono reali, non è dato saperlo, perché nessuno se lo chiede: anche il flebile dubbio dello scettico protagonista viene spazzato via dalla potenza ipnotica dell’oscura divinità. E cosa sono quegli strani strumenti di metallo che Nyarlathotep si procura e assembla senza sosta? Anche questo è un segreto, perché la tecnica come la magia (che in lui sembrano un tutt’ uno) non può essere spiegata né compresa dal nulla in ascolto che è la massa. Nyarlathotep appare allora come il moderno sacerdote di un’antichità incipiente: una società in cui la conoscenza, amministrata da una misteriosa minoranza guiderà individui privi di identità, irregimentandoli in gruppi frammentati, diretti verso la rovina ed il vuoto.
A quasi un secolo di distanza Rotomago e Julien Noirel recuperano questa breve storia, aggiungendo alle parole dell’autore, recuperate pressoché integralmente, la suggestione del disegno. Il risultato è una graphic novel estremamente fedele alle pagine originali, eppure quasi conturbante per la sua attualità.
La cifra stilistica è chiara: la fedeltà assoluta al racconto originale, del quale non viene modificato nessun particolare. L’unico intervento – certo non da poco – è quello di estrapolarne lo spirito, rendendolo evidente nel disegno. Nelle tavole si riversa così l’ angosciante pressione dell’autunno denso di presagi descritto solo fugacemente dalle parole di Lovecraft. L’America degli anni ’20 viene trasfigurata in quel “periodo di sconvolgimenti politici e sociali” intriso “di un’angoscia strana, tetra” che l’autore aveva tentato di suggerire con righe rapide, sebbene efficaci.
E’ soprattutto la colorazione delle tavole a restituire immediatamente l’angoscia oppressiva della vicenda. Le tinte calde, ma acide unite a chiaroscuri penetranti creano fin dalla prima vignetta un’ atmosfera afosa, densa, inquietante. La snervante, fotografica staticità delle tavole, quasi un’attesa del nulla, sospende il mondo nei confini di un pericolo di proporzioni difficilmente comprensibili, mentre il realismo esagerato si sgretola, cedendo improvvisamente il passo ad immagini irrazionali e inesplicabili. Come a pagina 10, quando l’apparizione di Nyarlathotep è seguita da un’intera tavola di spazio vuoto, popolato da simboli egizi e strani meccanismi a orologeria.Con lucida lentezza poi, la cronaca di quei giorni lontani si frantuma, nelle tavole finali, in un delirio mostruoso di paesaggi infiniti e segni indecifrabili che tentano di riprodurre, non senza efficacia, gli indescrivibili mondi immaginati dall’ autore. L’incanto oscuro delle pagine originali è così riprodotto fedelmente, potenziato dal segno sequenziale del fumetto, in tutta la sua agghiacciante attualità.