Un passo indietro”: Mostra, talk e proiezione il 6 aprile per Il Sabato della Fotografia
Tano D’Amico. Il dissenso negli anni Settanta: il fil rouge che lega passato e presente tra foto, fiction e dibattito a Napoli in Sala Assoli
Ultimo appuntamento della sezione Un passo indietro, prevista nell’ambito dell’VIII edizione de Il Sabato della Fotografia, format di incontri, mostre e workshop curato da Pino Miraglia in Sala Assoli. Dopo Dino Fracchia, Paola Agosti e Fabio Donato, sabato 6 aprile (ore 11.00 e ore 18.30), lo spazio teatrale dei Quartieri Spagnoli ospiterà ancora un grande nome della fotografia italiana, Tano D’Amico, con la mostra La memoria ribelle di Tano, visitabile negli orari di apertura del teatro fino al 19 maggio. Sabato 6 aprile, il pubblico potrà incontrare l’artista alle ore 11.30, insieme a Igina Di Napoli (Direttore artistico di Casa del Contemporaneo) e a Sergio Brancato (docente di Sociologia dei processi culturali della comunicazione presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II), prendendo parte al dibattito Dissenso, politica e società: dagli anni Settanta ad oggi.
A conclusione dell’incontro è prevista la proiezione del film Il grande Blek (1987), opera prima di Giuseppe Piccioni. L’incontro è a ingresso libero fino a esaurimento posti. Per : +39 345 2204383 e + 39 345 4679142, anche whatsapp (feriali 10-13 e 16-19), info@casadelcontemporaneo.it – www.salaassoli.it
Le foto, inequivocabilmente iconiche di Tano D’Amico, così come il suo spirito, rappresentano da sempre una testimonianza fondamentale degli ultimi cinquant’anni di vita e storia italiana; affermando e restituendo l’immenso valore della foto di reportage come patrimonio del nostro paese. Quella del fotografo è da sempre una scelta di campo politica e sociale: vicino, col suo sguardo speciale, agli esclusi, ai diseredati, agli ultimi. Nelle sue immagini si respira la nostra memoria, la storia di classi sociali che hanno determinato conquiste civili e diritti a generazioni future. Non si può non ritrovarsi nel volto di donne e giovani che hanno combattuto per la propria libertà di pensiero, di espressione e di utilizzo libero e responsabile del proprio corpo e della propria sessualità. D’Amico restituisce storie tutt’ora vive e palpabili, particlarmente attuali, in un momento storico che sembra mettere in discussione conquiste sociali e civili acclarate. A tal proposito Tano D’Amico afferma: «I movimenti dei miei anni hanno portato nella storia chi nella storia non era mai entrato. Si era formata una coscienza, una consapevolezza nuova. Ci presentammo tutti insieme nelle strade tenendoci per mano». E ancora: «Una buona fotografia, una fotografia che dà l’avvio a un pensiero, che diventa parte di noi, che non possiamo dimenticare, è sempre frutto di conoscenza, di studio, di interesse, di partecipazione, di amore. Sono queste fotografie che non si fanno consumare. Consumano. Ci lavorano dentro. Sono fotografie che hanno una personalità, una vita propria».
Tano D’Amico si accosta, quasi per caso, alla fotografia, nel clima della contestazione studentesca del ’68. Inizialmente vicino ai gruppi del dissenso cattolico, nel 1969 inizia una lunga collaborazione con Lotta continua e con Potere operaio. I suoi primi reportage sono dedicati al Sud, in Sicilia e in Sardegna. Ma viaggia anche all’estero: per “Il Mondo” va nell’Irlanda della guerra civile (1972) e nella Grecia dei colonnelli (1973). Poi è nella Spagna franchista; in Portogallo durante la rivoluzione dei garofani; più volte in Palestina, sin dal 1975. Negli anni Ottanta e Novanta andrà in Somalia, Bosnia, Chiapas, Stati Uniti. Il suo sguardo si distingue subito da quello degli altri fotografi. Non gli interessano i fatti di cronaca quanto piuttosto le ragioni che li producono. Segue da vicino il movimento studentesco e operaio lungo tutto il suo percorso, attraversando per intero gli anni Settanta, con immagini che vanno, come dirà, “oltre il cliché della violenza”. È vicino agli operai, ai minatori, alle femministe. Fotografa le carceri, le caserme, i manicomi, le fabbriche, le miniere. Segue le lotte per la casa e il mondo dei disoccupati. Lavora anche con gli zingari, che cerca di raccontare più con immagini di gioia che con quelle della povertà e del dolore. D’Amico è il fotografo dei senza potere, dei vinti, di cui riesce a cogliere la bellezza umana nel disagio sociale. Le sue immagini cercano di restituire dignità a coloro cui la dignità è stata tolta. Li rappresenta con complicità, simpatia, partecipazione, facendo del bianco e nero e dell’obiettivo 35mm una precisa scelta stilistica.