Venti opere inedite in esposizione in una location suggestiva, al Castel dell’ Ovo di Napoli, fino al 7 gennaio 2018, ingresso gratuito, una mostra di grande impatto, curata da Marina Guida, protagonista dell’ esposizione è l’ artista Silvia Papas, artefice di una produzione pittorica straordinaria, dipinti che hanno come fulcro principale modelle, donne dinamiche, bellissime, intraprendenti, ricche, madri di famiglia, sicure di sé, una trasposizione in pittura delle modelle della rivista Vogue del fotografo Helmut Newton, con una differenza, le donne dell’ artista tedesco erano contestualizzate nelle ville lussuose, quelle della Papas il lusso non lo respirano ma lo vivono, sono spavalde, sono determinate, girano per i negozi dell’ alta moda e adorano il lifestyle urbano. Sono immagini ispirate alla cartellonistica pubblicitaria e alle riviste di moda, alcuni elementi sono ricorrenti nei suoi dipinti, modelle con abiti succinti, chiome fluenti, atteggiamenti suadenti, eleganti e irraggiungibili, autonome e libere, perfettamente integrate nelle vie dello shopping urbano di Madrid, Venezia, New York, Miami, Napoli e Londra. Altro elemento che caratterizza alcune tele è la presenza degli animali, dei cani, accuditi e trattati come capricci, come un “surplus materiale.”
Osservando attentamente le opere in esposizione ciò che trapela dall’ impianto compositivo dei singoli dipinti è una sorta di “sentimento del contrario” di pirandelliana memoria, la Papas induce l’ osservatore ad andare oltre all’ apparenza per scoprire il vero significato della rappresentazione, in effetti, al mondo patinato che fa da cornice si contrappongono gli sguardi assenti e algidi dei personaggi, delle vere e proprie “maschere” che le donne indossano per raggiungere il potere, per fare carriera e per conquistare la fama, una celebrità che se per Andy Warhol avrebbe avuto una durata di 15 minuti, la Papas nei suoi quadri apparentemente rende eterna, ma in realtà è fittizia. Lentamente la vera natura dei protagonisti si svela, si passa dall’ icona all’ iconoclastia, nel dipinto “The Call” vediamo una madre tenere per mano il figlio e il telefono cellulare dall’ altro, l’ elemento tecnologico diventa fondamentale per evidenziare il proprio status, non è un oggetto nascosto, non visibile, è parte integrante del proprio essere, emerge il valore materiale dell’ oggetto a discapito dei valori delle relazioni umane in ambito familiare e sociale. E’ un j’ accuse che l’ artista scaglia nei confronti della società, è la narrazione di un disagio, è la dimostrazione che le teorie di Erich Fromm sull’ essere o avere sono sempre valide, è la vita virtuale che diventa reale, è la trasposizione in chiave cinematografica della ricerca della perfezione come nel film “Il cigno nero” con Natalie Portman, dove la protagonista perde sempre più spesso la percezione della sua soggettività, un “Io” troppo debole, ha come unica arma vincente il meccanismo della proiezione di sé stessa, per questo non è più soggetto indipendente ma si confonde con ciò che la massa valuta come ideale. Le donne della Papas hanno un viso anonimo, assente, inespressivo, sono simili alle crepe che Natalie Portman ha sul proprio volto nella locandina del film di Darren Aronofsky, esteticamente sublimi ma prive di anima, è una estetica “inestetica” dove l’ artista sembra trarre ispirazione alla Pop Art d Andy Warhol trascinando l’ osservatore verso una corrente unidirezionale e stravolgendola immediatamente, un esempio è la modella che emerge in primo piano con l’ insegna del marchio della bevanda analcolica “Pepsi” posta sullo sfondo, la Papas in questo caso ribalta completamente il punto di vista, l’ interesse non è al prodotto, al bene di consumo che diventa arte come fece Andy Warhol, il nucleo della narrazione è la donna che perde il suo valore umano, formulando l’ equazione bevanda-oggetto uguale a modella-oggetto.
Dal punto di vista stilistico è una pittura fredda, cromaticamente esplosiva e concettualmente introspettiva, la stesura del colore avviene per campiture piatte, il grigio colore della pelle delle figure femminili corrisponde al vuoto dell’ anima, sono anaffettive, l’ unico elemento dai toni caldi sono gli accessori e i vestiti che indossano le modelle, emergono perchè considerati il vero “valore” che conta nell’ odierna società, non a caso la Papas non inserisce le protagoniste nelle periferie delle città, nei luoghi anonimi e sconosciuti, anzi, li contestualizza nelle vie dello shopping compulsivo delle grandi metropoli, quello che conta è l’ ascesa sociale, essere glamour, essere trendy. In effetti il titolo della mostra “Postcards from Paradise” (Cartoline dal Paradiso) è rivelatorio, non è un luogo paradisiaco quello in cui viviamo, è l’ Inferno, è una società in cui prevale un “sadico cinismo”, in cui aumenta la solitudine e l’ uso di psicofaramaci, di antidepressivi, l’ ostentazione è diventata un marchio di garanzia, un brand, uno status symbol, corpi perfetti, auto di lusso, vestiti costosi, gioielli e party fashion week caratterizzano il nuovo lifestyle e nell’ era della globalizzazione internet e i social hanno intensificato questo fenomeno, gli utenti della rete, i millennials seguono ormai le pagine dei social network di instagram e facebook dei “Rich kids” e dei “Luxury kids”, un mondo artificiale e non reale. Tutto ciò è come la copertina di una rivista patinata, ben strutturata, scintillante, impattante e cerebralmente stimolante che però si rivela tutto accuratamente finto. E’ un Inferno dantesco e noi siamo i protagonisti, se nel film “Il Diavolo veste Prada”, nella realtà “Il Diavolo veste Papas”. Geniale.