Il Premio Strega è un premio letterario che viene assegnato annualmente all’autore o autrice di un libro pubblicato in Italia, tra il 1º aprile dell’anno precedente ed il 31 marzo dell’anno in corso. Dal 1986 è organizzato e gestito dalla Fondazione Bellonci. È universalmente riconosciuto come il premio letterario più prestigioso d’Italia, oltre a godere di una consolidata fama in Europa e nel resto del mondo, istituito a Roma nel 1947 da Maria Bellonci e da Guido Alberti, proprietario della casa produttrice del Liquore Strega. Nel dopoguerra il Premio diventa un traino per il mondo della cultura italiana, logorato da oltre vent’anni di dittatura fascista e dal recente conflitto,il primo vincitore è stato Ennio Flaiano, con il libro Tempo di uccidere. Alcune delle opere premiate con il Premio Strega sono divenute colonne portanti della letteratura contemporanea: da Il nome della rosa di Umberto Eco a Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il meccanismo del Premio prevede che la scelta del vincitore sia affidata ad un gruppo di quattrocento uomini e donne di cultura, tra cui gli ex vincitori. Coloro che compongono la giuria sono tuttora chiamati Amici della domenica. I quattrocento giurati possono proporre dei titoli a loro graditi, purché ogni candidatura sia supportata almeno da due di loro; attualmente è ammessa la partecipazione di un numero massimo di 12 opere. Un’ulteriore selezione (in genere nel mese di giugno) designa la cinquina delle opere finaliste e tradizionalmente il primo giovedì del mese di luglio viene effettuata la votazione definitiva che proclamava l’opera vincitrice.
Ed ecco i cinque finalisti di quest’anno.
Resto qui di Marco Balzano
L’acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale si trovano i resti del paese di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua materna è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora, per non perdere la propria identità, non resta che provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle, nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E cosí, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all’improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l’altro, la costruzione della diga che inonderà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine.
Il gioco di Carlo D’Amicis
La cosa più affascinante del sesso non è il sesso, ma tutto ciò che gli ruota attorno: in una sola parola, la vita. È per questo che Leonardo, Eva e Giorgio, dovendo parlare di sesso, raccontano le rispettive esistenze (audaci e innocenti allo stesso tempo) a un intervistatore che vorrebbe scrivere un libro sul piacere, e che invece si ritrova in continuazione a fare i conti con il loro dolore. Del resto, nel gioco erotico, tutto è così terribilmente intrecciato: non solo il piacere e il dolore, ma anche la trasgressione e le regole, la libertà e il possesso, l’eccitazione e la noia, l’io e la maschera. Quelle che i nostri eroi indossano in questo romanzo corrispondono ai tre ruoli chiave del gioco: Leonardo (nome in codice: Mister Wolf) è il bull, maschio alfa che applica al sesso seriale la disciplina e la meticolosità degli antichi samurai, Eva (la First Lady) è la sweet, regina e schiava del desiderio maschile, Giorgio (il Presidente) è il cuckold, tradito consenziente che sguazza nella sua impotenza ma non rinuncerebbe mai a manovrare i fili. Insieme formano il triangolo più classico e scabroso dell’intera geometria erotica, quello in cui l’ossessione maschile di possedere e offrire l’oggetto del proprio desiderio s’incastra con l’aspirazione della donna ad appartenere, finalmente, solo a se stessa. Recitano dei ruoli, Mister Wolf, la First Lady e il Presidente. Ma quanto più il corpo è il loro abito di scena, tanto più la loro anima si denuda, rivelando ai nostri occhi l’umanità struggente, tenera, e talvolta esilarante, di tre protagonisti fuori dagli schemi.
La ragazza con la Leica di Helena Janeczek
1° agosto 1937, una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa morta su un campo di battaglia che proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto. È stato lui a insegnarle l’uso della Leica e poi sono partiti assieme per la Guerra di Spagna. Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa. Ruth Cerf, l’amica di Lipsia, con cui ha vissuto nei tempi più duri a Parigi, dopo che entrambe erano fuggite dalla Germania. Willy Chardack, che s’accontenta del ruolo di cavalier servente da quando l’irresistibile ragazza gli aveva preferito Georg Kuritzkes, che ora combatte nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda Taro rimarrà una presenza più forte e viva dell’eroina antifascista celebrata dai discorsi funebri. Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di vivere, la sua sete di libertà, erano scintille capaci di riaccendersi a distanza di decenni. Basta che Willy e Georg si risentano per tutt’altro motivo. La telefonata intercontinentale avvia un romanzo caleidoscopico, incardinato sulle fonti originali, di cui Gerda Taro è il cuore attivo.
Questa sera è già domani di Lia Levi
Genova. Una famiglia ebrea negli anni delle leggi razziali. Un figlio genio mancato, una madre delusa e rancorosa, un padre saggio ma non abbastanza determinato, un nonno bizzarro, zii incombenti, cugini che scompaiono e riappaiono. Quanto possono incidere i risvolti personali nel momento in cui è la Storia a sottoporti i suoi inesorabili dilemmi? E’ giusto cercare di restare comunque nella terra dove ti stanno perseguitando o è meglio fuggire? Se sì, dove? Ci sarà un paese realmente disposto ad accoglierti? Ma alla tragedia che muove dall’alto i fili dei diversi destini si vengono a intrecciare i dubbi, le passioni, le debolezze, gli slanci e i tradimenti dell’eterno dispiegarsi della commedia umana. Una vicenda di disperazione e coraggio realmente accaduta, ma completamente reinventata, che attraverso il filtro delle misteriose pieghe dell’anima ci riporta a un tragico recente passato.
La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg di Sandra Petrignani
Dalla nascita palermitana alla formazione torinese, fino al definitivo trasferimento a Roma, Sandra Petrignani ripercorre la vita di una grande protagonista del panorama culturale italiano. Ne segue le tracce visitando le case che abitò, da quella siciliana di nascita alla torinese di via Pallamaglio – la casa di Lessico famigliare – all’appartamento dell’esilio a quello romano in Campo Marzio, di fronte alle finestre di Italo Calvino. Incontra diversi testimoni, in alcuni casi ormai centenari, della sua avventura umana, letteraria, politica, e ne rilegge sistematicamente l’opera fin dai primi esercizi infantili. Un lavoro di studio e ricerca che restituisce una scrittrice complessa e per certi aspetti sconosciuta, cristallizzata com’è sempre stata nelle pagine autobiografiche, ma reticenti, dei suoi libri più famosi. Accanto a Natalia – così la chiamavano tutti, semplicemente per nome – si muovono prestigiosi intellettuali che furono suoi amici e compagni di lavoro: Calvino appunto, Giulio Einaudi e Cesare Pavese, Elsa Morante e Alberto Moravia, Adriano Olivetti e Cesare Garboli, Carlo Levi e Lalla Romano e tanti altri. Perché la Ginzburg non è solo l’autrice di un libro-mito o la voce – corsara quanto quella di Pasolini – di tanti appassionati articoli che facevano opinione e suscitavano furibonde polemiche. Narratrice, saggista, commediografa, infine parlamentare, Natalia è una “costellazione” e la sua vicenda s’intreccia alla storia del nostro paese (dalla grande Torino antifascista dove quasi per caso, in un sottotetto, nacque la casa editrice Einaudi, fino al progressivo sgretolarsi dei valori resistenziali e della sinistra). Un destino romanzesco e appassionante il suo: unica donna in un universo maschile a condividere un potere editoriale e culturale che in Italia escludeva completamente la parte femminile. E donna vulnerabile, e innamorata di uomini problematici. A cominciare dai due mariti: l’eroe e cofondatore della Einaudi, Leone Ginzburg, che sacrificò la vita per la patria, lasciandola vedova con tre figli in una Roma ancora invasa dai tedeschi, e l’affascinante, spiritoso anglista e melomane Gabriele Baldini che la traghettò verso una brillante mondanità: uomini fuori dall’ordinario ai quali ha dedicato nei suoi libri indimenticabili ritratti.