Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un vero e proprio rilancio dei giochi di ruolo giapponesi (JRPG), una rinascita che ha affascinato milioni di fan, soprattutto dopo un periodo di crisi vissuto durante l’epoca di Xbox 360 e PlayStation 3. Questo ritorno ha portato innovazioni notevoli, ma anche una moltitudine di giochi di minor spessore, sviluppati nel tentativo di sfruttare il rinnovato interesse. Molti di questi titoli non sono riusciti a replicare il successo dei grandi nomi, tentando invano di emularne la formula.
Purtroppo, anche FuRyu, uno studio con un curriculum tutto sommato rispettabile, è incappato in questa trappola con il suo nuovo titolo Reynatis. Nonostante esperienze passate come The Caligula Effect, The Alliance Alive e The Legend of Legacy, questa volta sembra aver fatto il passo più lungo della gamba. Scopriamo insieme perché.
Una Shibuya oscura e magica
Reynatis ci introduce in un mondo in cui la magia è un privilegio di pochi e viene severamente vietata per via dei suoi effetti collaterali. La trama segue due protagonisti in contrapposizione: Marin Kirizumi, un ribelle solitario con grandi capacità magiche, e Sari Nishijima, una rigida soldatessa appartenente alla forza speciale M.E.A., incaricata di catturare i maghi. Il loro percorso si intreccia sullo sfondo di una Shibuya futuristica e tormentata, dove una droga chiamata “rubrum” trasforma gli umani in mostruosità prive di coscienza.
Nonostante il potenziale narrativo, la storia presenta seri problemi di coerenza. Le motivazioni dei personaggi risultano spesso poco convincenti. Ad esempio, Marin sembra mosso unicamente dall’ossessione di diventare il mago più potente, mentre i subordinati di Sari abbandonano senza troppa spiegazione le loro carriere militari per seguirla, nonostante in precedenza esprimessero dubbi su di lei. La scrittura è confusa e manca di forza, con passaggi narrativi intricati e una conclusione che non soddisfa appieno.
Meccaniche di combattimento innovative ma fallaci
Il sistema di combattimento è probabilmente l’aspetto che, inizialmente, colpisce maggiormente. Basato su un meccanismo che richiede di evitare gli attacchi nemici all’ultimo istante, alternando fasi di attacco frenetico con momenti in cui bisogna attendere il ripristino della barra magica, sembra offrire una dinamica interessante. Tuttavia, i problemi diventano subito evidenti. La telecamera, ad esempio, si comporta come un nemico aggiuntivo, non riuscendo a seguire l’azione correttamente nemmeno quando si punta su un bersaglio.
Alcuni nemici sono dotati di scudi che li rendono invulnerabili e che possono essere distrutti solo da specifici personaggi o tramite una perfetta sincronizzazione degli attacchi, una meccanica resa frustrante dalla scarsa precisione nel tempismo. Come insegnato dai giochi di Hidetaka Miyazaki, un sistema di parry può essere estremamente gratificante, ma solo se le finestre temporali sono gestite con chiarezza. In *Reynatis*, questo non accade, portando a battaglie estenuanti che si protraggono ben oltre il necessario.
Un’esplorazione monotona e poco stimolante
Il design dei dungeon, denominati “Alternate”, soffre di una pesante ripetitività. Lunghi corridoi vuoti si alternano a stanze in cui si affrontano gruppi di nemici, che si ripetono continuamente per tutta la durata della campagna. Le missioni secondarie, pur offrendo qualche ricompensa in più, si rivelano noiose e mal bilanciate, contribuendo a rendere l’esperienza di gioco piatta e poco coinvolgente.
Il bilanciamento della difficoltà è un altro aspetto problematico: il gioco risulta fin troppo facile per la maggior parte del tempo, per poi proporre un picco di difficoltà improvviso intorno al capitolo 23, obbligando il giocatore a lunghe sessioni di farming per riuscire a progredire. A complicare ulteriormente le cose, se si utilizza la magia in pubblico, il rischio di essere denunciati dai passanti è altissimo, con il conseguente intervento di pattuglie della M.E.A. praticamente imbattibili.
Limiti tecnici e produttivi
Dal punto di vista tecnico, Reynatis non riesce a impressionare. Nonostante il motore grafico sia proprietario, le mappe di gioco sono piccole, spoglie e ricche di texture a bassa risoluzione. Gli ambienti appaiono vuoti e i personaggi non giocanti sono spesso riciclati, creando un senso di monotonia visiva. I caricamenti frequenti tra una zona e l’altra spezzano ulteriormente il ritmo di gioco, un problema particolarmente evidente su PS5, piattaforma su cui il titolo è stato testato.
Il comparto tecnico trasmette una sensazione di ambizione non realizzata: i modelli dei protagonisti sono accettabili, ma gli NPC sono poveri di dettagli e animazioni. Cutscene che dovrebbero essere cariche di drammaticità risultano invece piatte a causa della mancanza di espressività dei volti, e non mancano fenomeni di pop-in e rallentamenti occasionali durante le battaglie.
L’unica luce: la colonna sonora
Se c’è un elemento che si distingue in positivo è la colonna sonora, firmata dalla celebre Yoko Shimomura. I temi musicali riescono a risollevare, almeno in parte, l’esperienza di gioco, anche se risultano purtroppo sprecati in un contesto così debole. Le tracce che accompagnano le battaglie e i momenti più intensi della trama sono di alta qualità, ma non bastano a salvare il gioco dalle sue numerose carenze.
Conclusione: ambizioni mal riposte
Reynatis avrebbe potuto aspirare a un giudizio più positivo se fosse stato proposto come un esperimento indipendente e venduto a un prezzo ridotto, con la promessa di aggiornamenti futuri. Tuttavia, il titolo ha tentato di posizionarsi nello stesso mercato dei grandi JRPG, finendo schiacciato dalle sue stesse ambizioni e dall’agguerrita concorrenza. Il sistema di combattimento, le fasi di esplorazione e la mancanza di cura tecnica rendono Reynatis un’esperienza frustrante e monotona. Al momento, ci sono decine di JRPG migliori su cui concentrare la propria attenzione.