La primavera è ormai inoltrata ed il bel tempo e il sole hanno iniziato ad intensificare i colori, gli odori e le pulsioni della città. I vicoli straripano di turisti provenienti da ogni dove e, in giro, l’atmosfera è sognante. È inutile nascondercelo, questo è senza dubbio il periodo dell’anno più bello per vivere Napoli. Nei mesi primaverili, infatti, da sempre Partenope esalta tutte le sue bellezze e le sue potenzialità, ed è inevitabile che gli animi più sensibili, quelli degli artisti, ne restino folgorati.
Tuttavia non sempre, e non in tutti, questa stagione rappresenta sinonimo di vivacità e di vitalità, anzi,alcune volte, essa intensifica, invece, di contrasto, i sentimenti di malinconia. In effetti, le aspettative di gioia che la primavera porta con sé possono finire per rendere ancora più amari i dolori di chi si trova in una situazione di disagio. Il caso in questione, ad esempio, è quello descritto in un bellissimo componimento di uno dei più grandi poeti della cultura partenopea: Salvatore Di Giacomo. Per chi sacrilegamente non lo conoscesse, Di Giacomo, che moriva a Napoli proprio nell’aprile del 1934, è stato uno dei principali autori di poesia in lingua napoletana – alcune pure musicate, come Era de Maggio e Marechiaro – ed insieme a E.A. Mario, Libero Bovio ed Ernesto Murolo è stato uno degli artefici del cosiddetto periodo d’oro della canzone napoletana.
Riportiamo qui di seguito, dunque, una sua poesia sul tema della primavera che arriva per tutti, ma non per il suo animo inquieto che auspica, invece, il ritorno dell’autunno.
ASPETTA ‘A PRIMAVERA
Aspetta ‘a primavera.
Aspetta ca stu velo
scuro d’ ‘o vierno nu’ se vede cchiù.
Aspetta. Aspetta
na iurnata sincera,
n’ at’ aria, n’ ata luce n’ ato cielo…
(E ‘a bella primavera
addurosa, è bbenuta –
ma pe tant’ ata gente e no’ p emme.
E, ‘o ssoleto, è passata,
fresca, priata,
allerta –
e fermata nun s’è: se n’è fuiuta…)
Està, c’ adduorme – afosa,
abbagliante, pesante,
che martirio che si’!
Venesse autunno!
E cadessero ‘e ffronne,
lentamente,
nziemm’ ‘o silenzio suio,
ncopp’ a stu munno…
(Ma che buo’? Ma che guarde,
tanto lontanamente,
anema mia scuieta?
Che desidere cchiù,
si è troppo tarde?…)