Il 13 dicembre si celebra, nel mondo cristiano, santa Lucia, una festività religiosa che, soprattutto nel passato, era particolarmente sentita nella cultura popolare di tutta Italia. Anche a Napoli, difatti, non è mancata ed è presente la devozione verso questa figura, alla quale, per l’appunto, è stata intitolata una chiesa: la basilica di Santa Lucia a Mare. Essa è una chiesa monumentale di particolare pregio, così chiamata perché originariamente, prima dell’estensione del borgo, affacciava direttamente sulla riva. Leggenda vuole che la struttura sia stata voluta addirittura da un nipote dell’imperatore Costantino, e di certo l’edificio è stato sempre meta di pellegrinaggio da parte dei credenti, fino al Novecento. Secondo alcune testimonianze, infatti, anche Totò vi si recò nel 1957, per cercare una grazia per i suoi problemi alla vista, dato che la santa, secondo la tradizione cristiana, è appunto protettrice degli occhi.
In aggiunta, come è a tutti noto, il santuario ha dato il nome anche alla zona nella quale si erge, ovvero uno dei rioni più importanti e famosi della città: il Borgo di Santa Lucia. Questo, inserito nel quartiere San Ferdinando, si estende in quel lembo che comprende Piazza Vittoria, via Chiatamone, via Partenope, l’isolotto di Megaride – con il Castel dell’Ovo ed il caratteristico Borgo Marinari – il Molosiglio, via Cesario Console ed il cosiddetto Pallonetto di Santa Lucia alle pendici del Monte Echia. Esso è il rione più antico e, non a caso, la sua storia, fin dagli albori, coincide con quella di Napoli stessa.
Dunque, quella di Santa Lucia è tra le aree principali del capoluogo partenopeo, la quale, in effetti, esprime un enorme valore storico e culturale. Ad essa, tra le altre cose, è dedicato pure un celebre brano dell’autore E.A Mario, dal titolo “Santa Lucia luntana”, il quale affronta la drammatica tematica dell’emigrazione. Invero, quello scorcio su Santa Lucia, affacciandosi sul mare, era l’ultima visione della città che gli emigranti avevano quando partivano sulle navi alla volta delle Americhe. A quel pittoresco panorama essi rivolgevano i loro sospiri e l’addio amaro all’amata terra, che si vedevano costretti ad abbandonare.
Proprio a tal proposito, a conclusione, da non credente, mi si consenta allora di muovere una piccola considerazione – del resto, la Storia serve proprio a quello, ad avere, cioè, strumenti di analisi per il presente -. Orbene, in questi giorni di festa, incluso quello della “Santa degli occhi”, che precedono il Natale, impegniamoci a riscoprire quei valori che, prima ancora che cristiani, sono umani. La solidarietà, la fratellanza e l’amore per l’altro tornino ad illuminare le nostre menti, soprattutto considerando che non dobbiamo dimenticare il dolore che tanti nostri avi hanno dovuto affrontare per la partenza verso terre lontane. Tutti noi, infatti, specie nel Sud Italia, abbiamo parenti disseminati nel mondo, e tutti sicuramente siamo stati almeno una volta testimoni, magari proprio durante i pranzi festivi, dei loro racconti. Racconti dove è sempre emerso, come beffa aggiuntiva al dispiacere per la partenza, anche quel razzismo che essi hanno dovuto subire come contraltare. E quindi, non dimentichiamolo proprio adesso che tanti ragazzi arrivano in Italia perché costretti a fuggire dai loro Paesi, abbandonando le loro Santa Lucia, alla ricerca di un futuro dignitoso.
Avendo accennato alla protettrice della vista, in un senso ampio, l’augurio è quello di non lasciarci accecare dall’odio, propugnato, il più delle volte, da quei personaggi – gli stessi che, peraltro, in passato, per le stesse logiche, ci hanno definiti, in maniera sprezzante, terroni – che vogliono lucrare politicamente e che, per tornaconti elettorali, vogliono scagliarci contro gli ultimi, contro altri nostri fratelli che differiscono da noi solo per il colore della pelle.
Riportiamo, dunque, qui di seguito il testo integrale della bellissima canzone scritta nel 1919 da E.A. Mario, sperando di lasciare per i nostri lettori un tenero ricordo e uno spunto di riflessione sull’oggi.
Partono ‘e bastimente
pe’ terre assaje luntane
Cántano a buordo:
só’ Napulitane!
Cantano pe’ tramente
‘o golfo giá scumpare,
e ‘a luna, ‘a miez’ô mare,
nu poco ‘e Napule
lle fa vedé
Santa Lucia!
Luntano ‘a te,
quanta malincunia!
Se gira ‘o munno sano,
se va a cercá furtuna
ma, quanno sponta ‘a luna,
luntano ‘a Napule
nun se pò stá!
E sònano Ma ‘e mmane
trèmmano ‘ncopp”e ccorde
Quanta ricorde, ahimmé,
quanta ricorde
E ‘o core nun ‘o sane
nemmeno cu ‘e ccanzone:
Sentenno voce e suone,
se mette a chiagnere
ca vò’ turná
Santa Lucia, tu tiene
sulo nu poco ‘e mare
ma, cchiù luntana staje,
cchiù bella pare
E’ ‘o canto d”e Ssirene
ca tesse ancora ‘e rrezze!
Core nun vò’ ricchezze:
si è nato a Napule,
ce vò’ murí!