La particolare storia di questo canonico è stata da lui stesso tenuta segreta per decenni fino alla sua morte. Un segreto che gli sarebbe costato la vita se la Santa Madre Chiesa avesse scoperto della sua passione per le sperimentazioni alchemiche. Siamo nel 1507, un secolo cruciale nella storia dell’Europa e del mondo, in cui l’unità del cristianesimo d’occidente si spacca. Nicolao Malnepote, originario di Piacenza, era un chierico operativo ai due santuari napoletani collegati e controllati dai Lateranensi, quello di Piedigrotta e quello di San Pietro ad Aram. Quando i suoi confratelli sprofondavano nel sonno, il canonico, ancora vestito dell’abito d’ordinanza, con una tunica di lana grezza bianca e la camisia apostolica, il mantello scuro sulle spalle e il cappuccio calato sulla fronte, si avventurava nei sotterranei della chiesa e sul bancone dello speziale lavorava con il matraccio fino all’alba in cerca della Pietra Filosofale.Fu arduo tenere nascoste le esplorazioni notturne di mondi sconosciuti,tramite storte e alambicchi, alla comunità in cui viveva, costituita da una ventina di uomini. Ben presto non mancarono intimidazioni da parte dei padri superiori che cercarono di convincerlo nel lasciar perdere, in quanto le potenze occulte con le quali cercava di entrare in contatto erano forze diaboliche. Ciononostante il prete alchimista non si lasciò intimorire e proseguì con le attività avverse. Fu allora avvertito una seconda volta, ma vista l’incuranza di Malnepote, i canonici decisero di rivolgersi all’autorità suprema del Papa, finché, dopo la visita canonica del priore di turno, Gregorio de Mortara, il 2 febbraio 1507 fu messo in guardia da un documento formale: “Si decreta che il P. don Nicolao da Piacenza, per sfuggire il scandalo et il dispendio non possa più esercitare l’alchimia sotto pene arbitrarie nostre e di S.S., che se per tutto marzo prossimo non haverà sgombrato bozze e tutto quello che ha per uso di detta arte, lo si debba levar dalla torre…”. Per una questione di decenza, dunque, egli non venne punito dall’Inquisizione; in più, gli furono concessi due mesi per liberarsi delle attrezzature che aveva montato nel laboratorio sotterraneo. In cambio di queste concessioni, Malnepote dovette silenziare tutto quello che era successo, fanno eccezione alcune pubblicazioni di libretti a carattere religioso apparentemente innocenti. Difatti, il 17 febbraio 1580, dedicò una copia de Il tesor celeste dell’indulgenza per li vivi, et per li morti al marchesedi Bucchianico Giovanni Antonio Caracciolo dei Pisquizi, rappresentante del patriziato napoletano collegato alle Accademie, rampollo di una delle famiglie che, dall’epoca della regina Giovanna I d’Angiò, appartenne ai Cavalieri dell’Ordine del Nodo.Il frate rimase nel convento fino al 1589, continuando a svolgere il ruolo di confessore e penitenziere. Morì all’età di novant’anni, quasi un record per quei tempi. Sebbene la storia ufficiale non parli di questo teologo e predicatore, quello che accadde venne registrato e poi abbandonato negli archivi Lateranensi di San Pietro in Vincoli di Roma.