Il Camposanto di Napoli rappresenta un esempio, seppur macabro, di civiltà: esso anticipò di ben mezzo secolo gli editti napoleonici che imponevano la tumultazione al di fuori delle cinta urbane. Prima del 1762, anno in cui venne inaugurato il complesso cimiteriale, la povera gente veniva seppellita o nel cuore della città, in uno scavo dell’ospedale degli Incurabili chiamato “piscina”, che fu utilizzato a seguito della diffusione della peste nel 1656, oppure nelle periferie e nelle aree campestri. Il cimitero delle fossi comuni fu voluto da re Ferdinando IV di Borbone, il quale lo commissionò all’architetto Ferdinando Fuga che scelse una zona paludosa e disabitata per quello che sarebbe stato il luogo dove avrebbe ospitato le anime dei diseredati a servizio del colossale edificio del Real Albergo dei Poveri, appena sorto per accogliere i vagabondi. Al sepolcreto si accede tramite una rampa di traversa di corso Malta, da via Fontanelle al Trivio. E’ un cimitero anomalo: in una struttura perfettamente geometrica, di 19 file per 19, sono scavate 360 fosse ipogee (quella centrale è per le acque piovane), mentre altre 6 sono al coperto della chiesa antistante, per un totale di 366 baratri, profondi circa sette metri e larghi quattro. Sono tutti protetti da altrettante pietre tombali che riportano scolpita una cifra inscritta in un cerchio con una sequenza numerica disposta da sinistra verso destra e poi da destra verso sinistra; dunque, un ossario per ogni giorno dell’anno. I sarcofaghi di basalto furono disposti in modo tale che i becchini si trovassero a lavorare sempre su una fila differente da quella del giorno precedente. Ogni anno si contavano circa settemila corpi. Una scena tanto inquietante e orribile da stuzzicare la mania dei napoletani sul gioco del lotto. Si racconta, infatti, che gli scommettitori si recavano sulla collina e tentavano di interpretare i numeri dei cadaveri sulle ossa degli altri corpi e i rumori delle differenti collissioni, da combinare con la numerazione attribuita alle tombe. Questo accadde fino al 1875, quando una baronessa inglese che aveva perduto la figlia di colera non donò un macchinario che calasse lentamente le salme.