La Crypta neapolitana è una galleria lunga quasi un chilometro, che taglia da parte a parte la collina di Posillipo e collega la zona di Mergellina (una volta mare e sabbia fino ai piedi dell’antro) ai Campi Flegrei (a Cuma, Baia e alla Puteoli romana). Gli storici e gli archeologi datano l’apertura della roccia tufacea all’età di Augusto e la attribuiscono all’opera dell’architetto imperiale Lucio Cocceio Aucto, noto per aver compiuto la più magnifica opera di viabilità sotterranea del tempo, la grotta a lui intitolata che mette in comunicazione il lago d’Averno con Cuma attraverso la gellaeria del Monte Grillo. Secondo le narrazioni virgiliani e documentarie, i lavori della Crypta sarebbero stati eseguiti in tempi record. Alcuni studiosi parlano dell’anno 37 a.C., altri, invece, contrappongono date più lontane: tra il IV e il III secolo a.C. Certo è che il geografo Strabone, del I secolo a.C., già ne parlava nei suoi trattati. Anche le fonti sulla storia della perforazione della montagna sono contraddittorie. Taluni ritengono che la Crypta fu aggredita dai cumani per estrarne blocchi di tufo; Plinio racconta, invece, che fu fatta lavorare a sue spese da Lucullo, mentre Scravero sostiene che i lavori iniziarono ben vent’anni dopo la morte del magnate romano e che fu costruita in quindici giorni sotto la direzione di Cocceio, impiegando oltre centomila schiavi. Secondo la leggenda, la grotta è stata realizzata da Virgilio in una sola notte, tracciando i confini della nuova Neapolis. Una leggenda molto radicata, dovuto probabilmente al Colombarium, ossia il mausoleo nel quale vi sono le spoglie, reali, o simboliche, del poeta. A differenza delle altre gallerie flegree, che al termine della guerra tolemaica persero di importanza strategica e caddero progressivamente in disuso, la Crypta Neapolitana continuò ad essere utilizzata come infrastruttura civile. Tuttavia, come risulta da una testimonianza di Seneca, era angusta, buia, polverosa e opprimente. Per questo, se è vero che si continuò ad utilizzarla per secoli, è altrettanto vero che si cercò di ampliarla e migliorarla. Nel 1455 il re di Napoli Alfonso V d’Aragona, per rendere meno ripido il pendio d’accesso da Mergellina, fece abbassare il piano di calpestio di undici metri dalla parte orientale e di un paio di metri dalla parte occidentale; nel 1548 il viceré don Pedro di Toledo la fece allargare e pavimentare; nel 1748 fu necessario un consolidamento, fatto eseguire da Carlo di Borbone; nei primi anni dell’Ottocento, Giuseppe Bonaparte ordinò un ulteriore consolidamento e dotò la galleria di un sistema di illuminazione con lampade ad olio. La galleria restò in uso fino alla fine dell’Ottocento, quando fu chiusa per problemi di statica.