L’edificio sacro di San Giovanni a Carbonara, una delle preziose rimanenze di età angioina, sorge su un rialzo piramidale, sopra la chiesa barocca attribuita alla Consolatrice degli Afflitti, e accanto alla Cappella Santa Monica che le fa da facciata con il suo portale gotico. E’ situato, quindi, a un terzo livello al quale si arriva da un grande scalone settecentesco. Il complesso monumentale si affaccia su via Carbonara, un tempo situata appena fuori le mura della città; lungo tutto il XIII secolo costituiva una vallata incolta che, in mancanza di un adeguato sistema di fognature, attraverso la pianura di Campus Neapolis, convogliava al mare la lava d’acqua, fango e detriti provenienti dalle zone collinari nei giorni di pioggia. Era anche la zona cosiddetta del carbonario dei rifiuti urbani, vale a dire, una discarica, dove vi si gettava l’immondizia che veniva data alle fiamme. In realtà, sulla piana non si versava soltanto spazzatura, tornando indietro nel tempo, all’epoca dei gladiatori, essa era il ludo gladiatorio Neapoli, l’area in cui fin dall’epoca romana si svogevano giochi di iniziazione alla guerra. Un’antica leggenda popolare, diffusa nel Medioevo, racconta che Virgilio Mago rifondò i ludi dei gladiatori con un incantesimo, grazie al cui potere riuscì ad evitare altre morti, canalizzando in giostre circensi l’esuberanza della aggressività. Ma, una volta che il potere dell’incantesimo svanì, la crudeltà degli uomini prese il sopravvento tanto da causare feroci manifestazioni di violenza che fecero inorridire Francesco Petrarca. In epoca successiva, i combattenti si incontravano nella zona franca di Carbonara per tornei e per battersi a morte evitando di incorrere in pene di giustizia. Petrarca vi fu condotto nel 1343 dai sovrani D’Angiò, la regina Giovanna I e il principe Andrea. Il poeta aretino, loro ospite, scrisse una lettera al cardinale Colonna, esponendo un resoconto dettagliato di quella insensata e barbarica usanza. I giochi furono proibiti solo quarant’anni dopo, nel 1383, da Carlo III Durazzo e si trasferirono a Madonna del Carmine. La costruzione della chiesa di San Giovanni a Carbonara avvenne proprio nel periodo degli atroci eventi sanguinari, quando il napoletano Gualtiero Galeota donò ai frati agostiniani un appezzamento di terreno con alcune case ai margini del canalone. Essa è la testimonianza della smagliante arte napoletana a cavallo tra Trecento e Cinquecento, che con le sue rigogliose decorazione la rendono un primo mirabile esempio di arte rinascimentale. All’interno della basilica, alle spalle dell’altare, si osserva il grandioso monumento funerario al re Ladislao d’Angiò-Durazzo, voluto dalla regina Giovanna II, che lo volle onorare con questa opera d’arte alta quanto la navata (diciotto metri). Lo stesso Ladislao era intervenuto sulla struttura ecclesiastica facendone una sorta di Pantheon degli Angioini. Alle spalle del monumento sepolcrale, c’è la cappella del gran siniscalco de regno, Sergianni Caracciolo del Sole, amante di Giovanna II, finito pugnalato per volontà della regina durante una torrida notte di agosto del 1432.