A rappresentare Napoli in una qualsiasi cartolina è l’incantevole paesaggio che si apre sull’infinitezza del mare con al centro quello che è considerato il simbolo della città partenopea, il Vesuvio. La sua idrografia è sorprendente, unica, sotterranea alle sue falde; infatti, come tutte le civiltà antiche nacquero attorno a fiumi, così anche la città di Napoli era circondata da ben tre fiumi: il Veseri, da cui si richiama la radice Ves, il Dragone e il Sebeto. Quest’ultimo, scomparso misteriosamente, si ritiene che scorresse dalle parti del Centro Direzionale (Sant’Anna alle Paludi), mentre il Dragone e il Veseri sono stati sepolti dalle eruzioni del vulcano. E’ soprattutto il mito che alieggia intorno a questo vulcano antichissimo, soggetto a otto grandi eruzioni negli ultimi 17 mila anni, a rendere ancora più affascinante questa città dai mille volti e misteri. Secondo un’antica leggenda greca ambientata sulle coste della Marina, all’altezza dell’attuale Castello del Carmine, si incontravano qui proprio Sebeto e Vesevo, due giganti più potenti degli stessi dei romani e più forti dei titani greci. Ma i loro incontri erano tutt’altro che pacifici: Vesevo lanciava fuoco e fiamme, mentre Sebeto rispondeva scagliando macigni dal mare. Poi dopo lunghe battaglie, si ritirarono sotto terra. Un’altra leggenda narra di due uomini, Sebeto era il figlio della sirena Partenope, Vesevo il figlio del dio Vulcano, entrambi innamorati di Leucopetra, figlia di Nettuno. La ragazza teneva sulle spine i due pretendenti, finché un giorno le si presentarono dinanzi Vesevo e Sebeto, litigando furiosamente. Decisero di fare una gara: chi avrebbe afferrato per primo la fanciulla, avrebbe conquistato anche il cuore della ragazza, la quale, però, non era convinta di questo accordo. Così scappò in mare, invocando il padre che la trasformò nel faraglione più grande di Capri. Leucopetra, infatti, significa in greco “Pietra bianca”, il colore dei faraglioni. Vesevo, furioso, giurò di vendicarsi verso la donna che non si sarebbe mai concessa a lui. Il fuoco del suo amore si trasformò nel fuoco del vulcano Vesuvio, con la promessa che un giorno avrebbe distrutto Napoli. Sebete, invece, distrutto dal dolore, si recò alle pendici del vulcano e pianse talmente tanto da far nascere un fiume che avrebbe potuto curare e potreggere la città, sperando che un giorno, con le sue acque dolci, avrebbe garantito felicità alle future figlie di Napoli.