Suor Maria Luisa è stata una giovane suora del Monastero di Sant’Ambrogio che, nella metà del 1800, oltre ad aver abusato sessualmente delle proprie consorelle con la giustificazione della “purificazione del corpo” ed aver intrattenuto rapporti sessuali con il proprio confessore, passò alla storia come “la suora assassina” in quanto ammazzò tre suore che ostacolavano il suo primeggiare e la sua ascesa verso il potere e l’adorazione.
CHI ERA SUOR MARIA LUISA?
Suor Maria Luisa nasce nel 1832 in un’ umile famiglia, dimostra ben presto di essere molto intelligente, tanto da imparare a leggere e scrivere molto più velocemente dei suoi compagni.
Ad 11 anni cresce in lei la volontà di voler diventare suora a seguito di un incontro con Maddalena Salvati, collaboratrice della Pia casa di Carità.
Riesce ad entrare nell’importante monastero di sant’Ambrogio e sin da subito dimostra le sue capacità diventando prima maestra delle novizie e poi, a soli 25 anni, vicaria del monastero.
Ovviamente le sue abilità alimentavano le invidie di alcune consorelle che non tardavano a criticarla ma le critiche duravano ben poco…perché coloro che non avevano di buon occhio Suor Maria Luisa venivano colte da malori improvvisi fino al sopraggiungere della morte.
GLI OMICIDI
La prima vittima fu Suor Maria Costanza che lamentava di quanto Suor Maria Luisa fosse immatura per ricoprire certi ruoli; le lamentele ebbero breve durata perché si ammalò improvvisamente di un’ infezione polmonare. Si pensò di chiamare il medico ma fu proprio Suor Maria Luisa a spiegare alla madre superiora che non c’era bisogno di preoccuparsi. Dopo pochi giorni, Suor Maria Costanza morì.
Dopo circa un anno arrivò al monastero Suor Maria Agostina che diventò molto popolare in quanto aveva il dono delle visioni. Per Suor Maria Luisa era inaccettabile che qualcuno potesse rubarle la scena e dichiarò di essere lei la prescelta della Madonna tanto da essere in grado di intrattenere una corrispondenza con ella. Dopo poco Suor Maria Agostina fu colta da febbre e ulcere e morì nel giro di qualche giorno.
Nel 1859 fu il turno di Suor Maria Giacinta che fu trasferita momentaneamente nella cella della suora assassina, lì troverà un libro con dei disegni osceni; questa scoperta le costò molto cara, la sua salute iniziò a peggiorare portandole febbre, dolori all’intestino e ulcere sul collo. Fortunatamente Suor Maria Giacinta non morì perché riuscì a farsi visitare da un medico che le diagnosticò avvelenamento da oppio e le prescisse tempestivamente una cura.
Nello stesso anno arrivò al monastero la ventiduenne Suor Maria Felice che fu spettatrice dei rapporti sessuali che la suora killer aveva con il suo confessore e con alcune consorelle quindi anche lei fu destinata a dover ricongiungersi con il Creatore e morì poco dopo.
LA CATTURA
La principessa suora Katharina Von Hohenzollern scoprì alcune lettere spinte che Suor Maria Luisa corrispondeva ad un certo Peter lo statunitense e venne rinchiusa in una cella isolata dalla quale però riuscì a mandare miracolosamente una lettera al cugino arcivescovo Gustav Adolf zu Hohenlohe-Schillingsfurst che ,grazie all’amicizia con Papa Pio IX, la fece liberare immediatamente.
Katharina si recò al Santo Uffizio per sporgere denuncia dichiarando i fattacci che accadevano nel monastero, la relazioni carnali che aveva Suor Maria Luisa e che più volte si era dichiarata santa e in grado di compiere miracoli.
L’inquisitore Vincenzo Leone non si mostrò sorpreso dei rapporti carnali che erano ormai consuetudine ma rimase particolarmente turbato per l’autoproclamazione a santa.
Fu aperta un indagine e il processo durò due anni; Suor Maria Luisa ammise solo di aver abusato delle consorelle con la scusa della purificazione del corpo e di aver avuto rapporti intimi con il suo confessore Giuseppe Peters e che secondo quest’ultimo l’atto sessuale era un servizio spirituale.
Probabilmente confessò soltanto i peccati di natura sessuale e non gli omicidi perché sapeva che in fondo questi erano tacitamente accettati e che avrebbe avuto quindi una pena più leggera.
Suor Maria Luisa venne comunque condannata a 20 anni, poi ridotti a 18. Il convento venne chiuso e il padre confessore condannato a due anni di reclusione in una casa gesuitica.
Nonostante la pena per l’avvelenamento ai tempi fosse la fucilazione, la Chiesa decise di insabbiare l’intera faccenda per salvaguardarsi la reputazione.
Maria Luisa venne così spedita in una casa di penitenza. Otto anni dopo venne mandata in un manicomio ma siccome non stava avendo miglioramenti venne rispedita a casa.
Nel 1870 il padre di Maria Luisa chiese al Santo Uffizio di riprendersela perché era ormai diventata ingestibile. Fece così ritorno alla casa di cura del Buon Pastore ma venne liberata dalle truppe piemontesi durante la presa di Roma diventando così prigioniera politica.
Alla sua morte fu seppellita in una fossa anonima.
IL PROFILO
La figura di Suor Maria Luisa e i valori ecclesiastici sono stati due rette parallele; la suora killer ha inteso il suo percorso religioso come una lotta alla supremazia , eliminando letteralmente ogni ostacolo che le si poneva davanti. Molto probabilmente vittima di una personalità narcisista con deliri di onnipotenza.
La storia di Suor Maria Luisa è stato un chiaro esempio di come l’abito non faccia il monaco.
EREDITÀ
Questa storia è giunta a noi nel 1976 grazie ad un dottorando in teologia che è riuscito a ricostruire la vicenda insabbiata; che la chiesa abbia sempre avuto il dono dell’insabbiamento è fatto risaputo e quasi non fa più scalpore.
Suor Maria Luisa è stata certamente mossa da una psiche malata che l’ha fatta arrivare ad ammazzare chiunque le ostacolasse il cammino, ma la motivazione che l’ha fatta agire in tal senso è in realtà presente nella vita quotidiana e nelle persone comuni: la voglia di arrivare.
La voglia di arrivare, di raggiungere gli obiettivi prefissati ad ogni costo non è così lontana dalla quotidianità e dalle persone comuni, specialmente nella società individualista occidentale nella quale vige la necessità di mostrarsi validi, più validi degli altri, al costo di qualsiasi cosa, andando così a consolidare una “società della performance” basata sulla competizione e sul raggiungimento degli obiettivi anche al costo di schiacciare gli altri per i propri interessi.