Mentre tra incertezze, protocolli e tamponi, il calcio italiano prova ad organizzarsi per ripartire, l’unico modo per sfuggire alla nostalgia del calcio e del Napoli resta, per ora, rifugiarsi nel passato.
Se il racconto della storia degli azzurri attraverso i ritratti dei giocatori più rappresentativi si è chiuso in bellezza con Sua Maestà Diego Armando Maradona, questo viaggio nella memoria non sarebbe completo senza ricordare i migliori interpreti di un ruolo fondamentale per le fortune di una squadra, ovvero quello dell’allenatore.
Ecco quindi i 5 “mister” che hanno dato maggior lustro alla panchina del Napoli, come sempre in ordine temporale, e come sempre chi legge potrà scegliere il proprio preferito.
Bruno Pesaola (1962-1963, 1964-1968, 1976-1977, 1982-1983)
Un napoletano verace, nato in Argentina per puro caso: figlio di emigrati italiani, Pesaola fu protagonista in maglia azzurra già come attaccante, disputando ben 8 stagioni nel Napoli e segnando 27 gol in 240 presenze.
Fu però dalla panchina che il “Petisso” diede un contributo importantissimo alle sorti del club azzurro, di cui detiene il record di presenze come allenatore e di cui fu spesso chiamato a risollevare le sorti in momenti di emergenza.
Fu così nel Gennaio 1962, quando subentrò a Baldi per salvare un Napoli che annaspava nelle retrovie della serie B, e che condusse non solo alla promozione ma anche alla conquista della Coppa Italia, prima nella storia del club, e unico caso (ancora oggi) in cui ad aggiudicarsi il trofeo sia stata una compagine cadetta.
Fu così anche vent’anni più tardi, quando insieme a Rambone prese il timone degli azzurri penultimi in serie A e li traghettò verso una tranquilla salvezza.
Fu però a metà degli anni ’60 che Pesaola si tolse le maggiori soddisfazioni sulla panchina partenopea, conquistando un secondo posto ed una Coppa delle Alpi, e riuscendo a far rendere al meglio fuoriclasse apparentemente al tramonto come Sivori ed Altafini.
Ironia della sorte, l’unico scudetto della propria carriera il “Petisso” lo conquistò lontano da Napoli, con la Fiorentina di De Sisti ed Amarildo nel 1969.
Il cuore di Pesaola però è sempre stato azzurro, e lo dimostra il fatto che qui sia rimasto a vivere, fino a quando non se n’è andato, 5 anni fa.
Fumatore incallito, sempre con la battuta pronta, il “Petisso” ha lasciato ricordi di impareggiabili aneddoti (“ci hanno rubato l’idea” rispose una volta ad un giornalista che gli chiedeva perchè avesse lasciato l’iniziativa agli avversari, invece di attaccare come aveva proclamato alla vigilia) ed è diventato per i tifosi partenopei un’autentica icona, al punto da ispirare il personaggio del “Molosso” nel film “L’uomo in più”, pellicola d’esordio del regista napoletano Premio Oscar Paolo Sorrentino.
Luis Vinicio (1973-1976, 1978-1980)
Anche “O’ lione”, come già raccontato in precedenza, ha scritto la storia del Napoli sia come giocatore che come “mister”: attaccante da 69 reti in 159 presenze con i partenopei nella seconda metà degli anni ’60, sedette sulla panchina azzurra nel 1973 dopo le esperienze con Ternana e Brindisi.
Vinicio decise di far giocare la propria squadra con il medesimo coraggio messo in campo da calciatore, e si ispirò senza remore al calcio totale olandese che sconvolse il calcio di quegli anni: difesa a zona, ritmi altissimi e giocatori racchiusi in 30 metri di campo.
Il risultato fu spettacolare, a detta di chi ha visto giocare quel Napoli raccontandolo alle generazioni successive; d’altro canto nel 1975 quella squadra arrivò anche ad un soffio dal suggellare la qualità del proprio gioco con la vittoria dello scudetto, sfuggito grazie al celebre gol di “core ‘ngrato” Altafini nello scontro diretto con la Juventus del 6 Aprile.
Nonostante l’esonero nel Giugno del 1976 gli avesse impedito di alzare la Coppa Italia con il Napoli, Vinicio restò legato agli azzurri, tanto da tornare ad allenarli (senza troppa fortuna) dal 1978 al 1980.
Come Pesaola, anche Vinicio ha deciso di restare a vivere nella città che più lo ha amato, diventando napoletano d’adozione.
Ottavio Bianchi (1985-1989, 1992-1993)
Per far bene a Napoli da allenatore, evidentemente bisogna averla conosciuta come calciatore: a questa regola non sfugge Ottavio Bianchi, che all’ombra del Vesuvio trascorse 5 anni come centrocampista dal 1966 al 1971 (14 gol in più di 100 presenze) prima di tornarci per diventare il tecnico più vincente nella storia del club.
Tacciato di praticare un gioco troppo prudente, in realtà Bianchi fu in grado di sfruttare al meglio la classe dei formidabili attaccanti a sua disposizione, da Maradona a Giordano, da Careca a Carnevale, utilizzando spesso il tridente offensivo e smentendo dunque la sua fama di difensivista.
Bergamasco di nascita, dal carattere schivo e riservato, raramente riuscì a farsi amare dai propri giocatori (contro di lui la celebre “rivolta di Maggio” del 1988 dopo lo scudetto perso con il Milan, che costò la permanenza in squadra a Bagni, Ferrario, Garella e Giordano), ma riuscì comunque a gestire un gruppo dalla forte personalità, guidandolo alla conquista dell’accoppiata Scudetto-Coppa Italia del 1987 e della Coppa UEFA del 1989.
Chiamato 3 anni dopo a sostituire Claudio Ranieri con il Napoli nei bassifondi della classifica, conquistò una salvezza tranquilla, per poi passare dietro la scrivania e scegliere, da dirigente azzurro, un allenatore promettente anche se poco conosciuto: Marcello Lippi.
Rafael Benitez (2013-2015)
L’eredità lasciata al Napoli da Rafa Benitez va molto al di là dei risultati ottenuti nei soli due anni trascorsi sulla panchina azzurra, anche se la Coppa Italia conquistata il 3 Maggio 2014 contro la Fiorentina e la Supercoppa Italiana vinta ai rigori contro la Juventus a Doha il 22 Dicembre dello stesso anno restano tuttora gli ultimi due trofei alzati dai partenopei.
Il tecnico spagnolo, vincitore di una Champions League con il Liverpool e di due edizioni della Europa League con Chelsea e Valencia (con cui ha anche vinto una “Liga” spagnola) ha infatti avuto il grande merito di proiettare il Napoli di De Laurentiis in una dimensione europea, attirando con il proprio appeal giocatori di caratura internazionale che costituiscono in buona parte l’ossatura della squadra azzurra ancora oggi.
I vari Koulibaly, Mertens, Callejon e Ghoulam sono infatti arrivati insieme al tecnico madrileno, che contribuì all’approdo in maglia azzurra anche di Albiol, Jorginho e soprattutto di Gonzalo Higuain, centravanti ex Real in grado di far dimenticare all’epoca il traumatico addio del matador Cavani.
Una finale di Europa League sfuggita solo per gravi torti arbitrali subiti nelle due sfide contro il Dnipro, e la qualificazione in Champions persa all’ultima giornata contro la Lazio grazie al rigore fallito da Higuain resero l’addio di Benitez particolarmente amaro, ma oggi a distanza di 5 anni il lavoro svolto dal colto e simpatico Rafa è stato pienamente e giustamente rivalutato.
Maurizio Sarri (2015-2018)
Come nel caso di Vinicio, il Napoli allenato da Maurizio Sarri non è riuscito ad alzare alcun trofeo, ma come e più della squadra di “O’ Lione”, il gruppo guidato dal tecnico nativo di Bagnoli ha regalato tre anni di spettacolo puro, con un gioco ammirato (ed invidiato…) in tutta Europa.
Giunto dall’Empoli tra lo scetticismo generale, Sarri ha saputo dare alla squadra ereditata da Benitez un’impronta di gioco inconfondibile, basata su possesso palla, difesa altissima e pressing continuo.
Oltre alle tante goleade ed all’esaltazione di bomber già affermati (Higuain, che nel 2016 battè il record di Nordahl segnando ben 36 gol in Serie A) o “inventati” (Mertens, trasformato da esterno a centravanti con risultati straordinari), il Napoli di Sarri ha ottenuto un numero impressionante di vittorie in tutti e 3 i campionati disputati, chiudendo sempre sopra gli 80 punti.
Resterà per sempre memorabile la stagione 2017/2018 chiusa con il record di 91 punti ottenuti, pur se incredibilmente conclusa senza la vittoria dello scudetto (nonostante la vittoria allo Stadium di Torino grazie al gol di Koulibaly) per le fin troppo note decisioni dell’arbitro Orsato in Inter-Juventus.
Nel periodo trascorso a Napoli, Sarri divenne un autentico idolo della tifoseria anche per aver assecondato la costruzione di un personaggio in stile “masaniello” contro i poteri forti, ma il passaggio agli odiati rivali bianconeri ha rovinato il bel rapporto costruito con i supporters azzurri.
Questo epilogo amaro non può però cancellare tre anni pieni di divertimento, vittorie e gol.
I grandi esclusi
Nel corso degli anni sono stati tanti gli allenatori di prestigio a sedersi sulla panchina del Napoli, così come diversi tecnici hanno raggiunto alla guida degli azzurri il momento topico della loro carriera.
Alla prima categoria appartiene di sicuro Carlo Ancelotti, di gran lunga il “mister” più titolato che il Napoli si sia ritrovato in casa, ma che nonostante un secondo posto, una qualificazione agli ottavi di Champions raggiunta ed una sfiorata, non è riuscito a trovare il feeling con il pubblico e con la squadra, pagando a caro prezzo i pessimi risultati e l’ammutinamento dei calciatori che hanno caratterizzato lo scorso autunno.
Altro allenatore illustre passato da Napoli fu Vujadin Boskov, che dopo i trascorsi al Real Madrid ed alla Sampdoria (uno scudetto, una Coppa delle Coppe ed una finale di Coppa dei Campioni sulla panchina blucerchiata) subentrò a Guerini e sfiorò una qualificazione UEFA, guadagnandosi anche con la sua ironia e le sue celebri battute l’affetto del pubblico.
Alla seconda categoria appartengono sicuramente Walter Mazzarri, che ha conquistato un trofeo a Napoli dopo 22 anni (la Coppa Italia 2012) e riportato gli azzurri in Champions dopo 21 stagioni, così come Edy Reja, che ha traghettato il Napoli dalla serie C fino alla coppa UEFA.
Lo stesso si può dire per Albertino Bigon, catapultato sulla panchina del Napoli a 42 anni per sostituire Bianchi e capace di condurre gli azzurri alla conquista del loro secondo scudetto e di una Supercoppa Italiana.
C’è chi invece ha trovato nel palcoscenico del San Paolo un perfetto trampolino di lancio: è il caso di Marcello Lippi, che con un sesto posto alla guida di una squadra abbandonata dalla società si guadagnò le panchine della Juventus e poi della Nazionale, con le quali avrebbe vinto praticamente tutto.
Vanno inoltre ricordati due tecnici che hanno guidato a lungo il Napoli in tempi lontani, come Willy Garbutt (primo “mister” azzurro in serie A) ed Eraldo Monzeglio, entrambi con più di 200 presenze sulla panchina azzurra.
Insomma, la storia del Napoli racconta una tradizione di grandi e prestigiosi allenatori: a Gennaro Gattuso l’augurio di poterne ricalcare le orme, e soprattutto quello di poter ricominciare a farlo il più presto possibile.