Habemus…datam!
Dopo l’incontro di giovedì 28 Maggio tra il Ministro dello Sport Spadafora ed i vertici del calcio, è stato finalmente trovato l’accordo per la ripresa: la Serie A ripartirà il 20 Giugno, molto probabilmente preceduta dalla Coppa Italia che dovrebbe concludersi (con le semifinali di ritorno e la finale) tra il 13 ed il 17.
Anche se ci aspetta una specie di surrogato del vero calcio, in stadi vuoti e sanificati, tra poco i ricordi potranno comunque far posto alle immagini di partite nuove.
Si avvia dunque alla conclusione il viaggio nella memoria e nella storia del calcio Napoli, in cui stavolta saranno raccontate le figure che, nel bene e nel male, sono state realmente artefici delle fortune degli azzurri: i presidenti.
Giorgio Ascarelli (1926-1927, 1929-1930)
In un’epoca nella quale si discute tanto degli stadi di proprietà delle squadre di calcio, suscita stupore il fatto che il Napoli sia stato una delle prime squadre a disporre di un proprio impianto, addirittura nel…1930!
Merito di Giorgio Ascarelli, imprenditore napoletano, grande appassionato di sport, che fu promotore nel 1922 della fusione tra Internazionale Napoli e Naples Footbal Club nell’Internaples, e del cambio di denominazione, il 1 Agosto 1926, in Associazione Calcio Napoli, di cui divenne presidente.
Ascarelli, di fatto il primo patron nella storia del club azzurro, fece iscrivere il Napoli alla Divisione Nazionale nella stagione 1926/27, rendendolo competitivo in pochi anni grazie ad acquisti del calibro di Attila Sallustro ed Antonio Vojak, guidati dal mister Willy Garbutt.
Il suo lascito più importante fu però proprio lo stadio “Vesuvio”, inaugurato nel 1930 nel Rione Luzzatti; l’impianto, straordinariamente moderno per quei tempi (era dotato ad esempio di tribune in legno) fu presto ribattezzato “Stadio Ascarelli”, a causa della prematura scomparsa del presidente, giunta quello stesso anno.
Lo stadio fu utilizzato anche per i mondiali del 1934, non prima di essere ribattezzato “Stadio Partenopeo” da Mussolini, che non poteva permettere che un impianto di tale livello fosse intitolato ad Ascarelli, “colpevole” di essere ebreo.
Fortunatamente la città di Napoli ha restituito ad Ascarelli il merito del suo operato, intitolandogli nel 2011 l’impianto sportivo del vicino quartiere di Ponticelli (con tanto di targa commemorativa), mentre l’agglomerato di case situate dove sorgeva lo “Stadio Vesuvio” viene ancora oggi chiamato “Rione Ascarelli”.
Achille Lauro (1936-1940, 1952-1954)
A cavallo dell Seconda Guerra Mondiale la figura di Achille Lauro assunse un ruolo determinante per la città di Napoli, sia dal punto di vista imprenditoriale che politico, e per mantenere un costante consenso da parte dei cittadini partenopei l’armatore originario di Piano di Sorrento decise di legare a doppio filo le proprie sorti a quelle della squadra azzurra.
Lauro divenne presidente nel 1936 e, pur non ricoprendo costantemente la carica più alta, mantenne il controllo della società praticamente fino a metà degli anni ’60; sotto la sua guida il club partenopeo visse un lungo periodo di alti e bassi.
Con Lauro nelle vesti di presidente il miglior risultato ottenuto dagli azzurri fu il quarto posto del 1953, con mister Monzeglio a guidare una squadra che aveva i propri punti di forza in Jeppson, Pesaola e capitan Amadei.
Nel 1962, con Alfonso Cuomo presidente ma sempre con Lauro, di fatto, patron, giunse il primo trofeo di rilievo per il Napoli, quella Coppa Italia conquistata mentre gli azzurri militavano in Serie B: un “record” tuttora ineguagliato.
Al Lauro “politico” (fu Sindaco della nostra città dal 1952 al 1957, oltre che per pochi mesi del 1961) va dato inoltre grande merito nella costruzione dello Stadio San Paolo, inaugurato nel 1959 come “Stadio del Sole” ed ancora oggi casa (finalmente restaurata per le recenti Universiadi) degli azzurri.
Roberto Fiore (1964-1967)
Sivori, Altafini e…Pelè: questo il tridente dei sogni che Roberto Fiore, chiamato a guidare il Napoli dal patron Achille Lauro prima come dirigente e poi come presidente, provò a regalare ai tifosi azzurri.
Se “O Rey” è rimasto solo un desiderio (anche se la trattativa ci fu eccome, Pelè ha più volte confermato e Fiore conservò per sempre una cartolina di ringraziamento per l’interesse, inviatagli dall’asso brasiliano), Sivori ed Altafini infiammarono per davvero i cuori della torcida partenopea grazie alla brillante intuizione dell’imprenditore nativo di Portici, lesto nel far approdare in maglia azzurra i due fuoriclasse, ai ferri corti rispettivamente con Juventus e Milan.
In quegli anni Fiore non riuscì solo a rilanciare la squadra, che in 3 anni dalla serie B arrivò a sfiorare lo scudetto e conquistò la Coppa delle Alpi nel 1966 con il “Petisso” Pesaola in panchina, ma fece breccia nel cuore dei tifosi anche grazie ad iniziative innovative come l’abbonamento pagabile a rate.
Grazie a questa trovata ed agli acquisti di Omar e Josè, nell’estate del 1965 fu sfiorato il muro delle 70 mila tessere: un record che sarebbe crollato solo 10 anni dopo con l’arrivo di “Mister 2 Miliardi”, Beppe Savoldi.
Corrado Ferlaino (1969-1971, 1972-1993)
Gli anni più splendenti, ed anche quelli più bui: questa la singolare caratteristica del Napoli di Corrado Ferlaino, ingegnere, imprenditore impegnato nel settore edilizio ed a tempo perso anche pilota da corsa.
Riuscito a subentrare ad Achille Lauro a fine anni ’60 nel controllo del sodalizio azzurro, Ferlaino, autorevole esponente della generazione di “Presidenti-tifosi” ormai scomparsa dal panorama calcistico, provò a lungo a portare il Napoli alla vittoria dello scudetto, soltanto sfiorata nel 1975 con il calcio totale targato Vinico e nel 1981 con la squadra di outsider guidata dal fuoriclasse olandese Rudy Krol.
Dopo 18 anni (e la sola Coppa Italia conquistata nel 1976), soprattutto grazie al clamoroso acquisto di Diego Armando Maradona, Ferlaino riuscì a coronare il sogno dei tifosi napoletani, aprendo un ciclo vincente durante il quale furono conquistati 2 Scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana.
In quegli anni ad affiancare D10S arrivarono fuoriclasse del calibro di Careca, Giordano, Zola, Bagni ed Alemao, che insieme a Zoff e Savoldi rappresentano i “colpi” di maggior rilievo nella gestione dell’Ingegnere.
Peccato però che in nome del sogno scudetto Ferlaino finì con lo svuotare le casse del club, a cui aveva legato indissolubilmente anche il destino delle sue aziende.
Svanita l’euforia delle vittorie, iniziò quindi una lunghissima quaresima, avara di risultati e piena di amarezze: su tutte le due retrocessioni in Serie B, quella del 2001 e quella indecorosa del 1998, con soli 14 punti racimolati.
Ferlaino, che dal 1993 lasciò formalmente la carica di presidente pur restando azionista di riferimento fino all’inizio del nuovo millennio, fu anche incapace di individuare un successore in grado di rilanciare degnamente la società.
A partire dal 2000 infatti cedette progressivamente le proprie azioni a Giorgio Corbelli, imprenditore noto per le aste televisive delle opere d’arte, e due anni più tardi lo stesso Corbelli lasciò la proprietà del Napoli a Salvatore Naldi, proprietario alberghiero tristemente famoso per aver portato il club azzurro al fallimento nel 2004.
Guardando alla parabola del suo Napoli, dunque, non c’è da meravigliarsi se ancora oggi Ferlaino sia un presidente tanto amato quanto detestato, in egual misura, da moltissimi tifosi.
Aurelio De Laurentiis (2004-?)
Un colpo di scena degno di un suo film: si potrebbe descrivere così l’ingresso nel mondo del calcio come presidente del Napoli dell’imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis, che nella rovente estate del 2004 rilevò a sorpresa quel che restava del glorioso club azzurro, reduce da un infamante fallimento e costretto a ripartire dalla serie C1.
“AdL”, carattere vulcanico e spesso protagonista di esternazioni sopra le righe, ha però sempre amministrato con giudizio la società, evitando passi più lunghi della gamba e garantendo solidità alle casse del sodalizio partenopeo.
Nonostante ciò il suo Napoli si è dimostrato sin da subito ambizioso, risalendo la china dalla terza serie ed arrivando in soli 7 anni a giocare la prestigiosa Champions League.
Due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, 7 volte sul podio in serie A, una presenza costante nelle Coppe Europee da 10 anni a questa parte, l’acquisto di campioni come Hamsik, Cavani, Lavezzi, Higuain, Mertens e Koulibaly: risultati sotto gli occhi di tutti, insufficienti però a garantire a De Laurentiis la stima e l’affetto dei tifosi, che gli imputano la mancanza del “coraggio” (leggasi: volontà di spendere di più) necessario a vincere nuovamente quello scudetto che all’ombra del Vesuvio manca da ormai 30 anni.
Critiche oggettivamente ingenerose per il produttore romano, che non è riuscito a portare a casa il tricolore solo per il dominio “anomalo” (sotto tanti aspetti…) della Juventus in quest’ultimo decennio, e che potrà ritentare l’assalto nei prossimi anni in virtù di una gestione oculata, ben diversa da quella del suo predecessore.
Per De Laurentiis, per il Napoli e per tutti noi, non resta dunque che chiudere al meglio questa stagione, fin troppo tormentata già prima dell’emergenza coronavirus, e programmare un futuro ancora più…azzurro.